La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità
5 Ottobre 2023 – 17:07 | Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.In un metaverso che vede archiviata… Read more

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Occupy Central: Hong Kong in lotta per il suffragio universale

Scritto da – 10 Dicembre 2013 – 11:273 commenti

È come una riedizione della Rivoluzione francese. Solo che al posto che a Parigi si svolge ad Hong Kong, 315 anni dopo. E il Terzo stato ancora non ha deciso da che parte stare. Nel “porto fragrante”, questo il significato letterale di Hong Kong, si “combatte” per il suffragio universale. Ma non si fanno rivoluzioni: non è nella cultura dei cittadini. Piuttosto, si gioca a scacchi: una partita tra due movimenti civili di segno opposto che mette in palio l’elezione diretta da parte dei cittadini del Chief executive, il “direttore amministrativo”. Il podestà. Fino al ’97 di nomina britannica, Dal 1997, anno in cui la città è tornata sotto l’egida cinese, dopo secoli di dominazione britannica, da 16 anni eletto con un complicato sistema di voto indiretto dove, a conti fatti, prendono le decisioni in 1.200, su una popolazione di 8 milioni di abitanti. Clero e nobiltà della nostra Parigi pre rivoluzionaria. Ma andiamo con ordine.

A muovere le pedine bianche, quelle dei sostenitori del suffragio universale subito, è Benny Tai, professore di diritto costituzionale alla Hong Kong university. Il professor Tai, insieme ad altri due colleghi, ha lanciato a Pechino il guanto della sfida dalle pagine di un giornale, a inizio 2013. “Il movimento protesta per ottenere nel 2017 il diritto al suffragio universale e far sì che Hong Kong rispetti gli standard internazionali di democrazia – dichiara -. Chiediamo solo che si rispetti la legge: è tutto già scritto nel trattato con cui la Gran Bretagna ha ceduto Hong Kong alla Cina”.

Oggi Hong Kong vota il suo super sindaco attraverso il Consiglio elettorale, un organismo composto da 1.200 persone. Personaggi tanto vicini al Re Sole, Pechino, tanto da essergli succubi. 900 tra questi eletti provengono dalle élite commerciali e professionali, dal mondo dell’impresa, della finanza e dall’avvocatura. Gli altri 300 se li spartisce il Congresso nazionale del Popolo della Repubblica popolare cinese, i Consigli distrettuali e il LegCo (Legislative Commitee, una specie di parlamentino di Hong Kong). Tra i membri del LegCo, una parte è votata in collegi elettorali a base distrettuale dove possono votare circa, secondo le stime di Tai, 3,4 milioni di votanti su un totale di 8 milioni. I partiti che corrono sono uno pan democratico (opposizione) e l’altro pro Governo (vicino a Pechino). E poi si parla di “bizantinismi”. Ma ad Hong Kong anche il pensiero più tortuoso ha una sua finalità precisa. In questo caso, offrire in pasto agli hongkongesi un’omeopatica democrazia. Deng Xiaoping, il leader cinese che ha riportato a casa Hong Kong, l’ha riassunto nella formula “un Paese, due sistemi”. Hong Kong poteva restare una Cina sui generis. Poteva indossare un velo sufficiente a preservarla all’esasperato centralismo cinese e permetterle di restare un parco divertimenti per investitori senza scrupoli, di qualunque longitudine.

Occupy Central è il nome del movimento animato dal professor Tai. E come gli altri Occupy prevede di prendere possesso, in maniera non violenta, del centro di potere della città: Central, la fermata della Mtr, la metro di Hong Kong, dove ha sede il suo cuore finanziario.

L’eco dello schiaffo che ha raggiunto in pieno volto Pechino, ha ridestato Robert Chow, vecchia volpe del giornalismo locale, uno che ha fondato e diretto giornali in inglese e in cantonese, che si fregia di conoscere la gente di Hong Kong molto da vicino. Insieme a cinque amici della vecchia guardia (età media 70 anni) ha fondato un contro movimento, Silent majority, per evitare che Tai, accusa Chow, riesca nel suo intento di mandare in tilt la città. “Il loro unico desiderio è uno sciopero generale, paralizzare la città. Noi vogliamo convincere la gente a dire ‘ehi, fermati, vogliamo la democrazia ma senza caos’. Come può Occupy central garantire che le manifestazioni non diventeranno violente? Francamente il nostro è un movimento per salvarci le chiappe dalla devastazione che potrebbe portare Occupy central”. Ecco perché Chow definisce il suo il movimento “per salvarsi le chiappe”.

Alcuni media sostengono che Chow sia ben protetto da santi in paradiso. Alfiere e cavallo del suo scacchiere sono più che vicini all’entourage di Pechino. Sono Li Tsz leung, direttore della Broadway electronics ltd e Wong Kwok Keung, presidente del Kum shing group, due uomini che fanno parte della Conferenza politica consultiva del popolo cinese (un organismo consultivo dell’Assemblea nazionale del popolo, il più importante corpo legislativo cinese, ndr). “Che male c’è? – replica Chow – Hanno la fedina penale pulita”. Al contrario di quanto accade tra le file di Occupy central, dove militano anche gruppi radicali di “sinistra”, per quanto inefficace sia questa definizione nel sistema politico cinese. Si tratta del “Potere del popolo” e di “Alleanza socialista”, due forze con cui Tai ha cominciato a sviluppare dei seminari sulla nonviolenza e sul controllo delle emozioni gestiti da psicoterapeuti che si sono avvicinati al movimento. “Noi vogliamo provocare la violenza e i nostri arresti ma dobbiamo essere in grado di sopportare gli arresti. Inoltre le celle di Hong Kong sono più che dignitose, ho avuto occasione di visitarle per un corso fatto con degli ex detenuti”, commenta Tai. Anche il partito pan democratico si è apertamente schierato con Tai, dicendo di voler portare il suo messaggio per le strade.

Le pedine da mangiare, per i due contendenti, sono gli studenti, gli uomini forti degli ordini professionali, i semplici lavoratori. E per conquistarli, sia Chow che Tai si recano a meeting dove possono usare la loro oratoria per convincere il pubblico. Meeting privati, ovviamente, non manifestazione di piazza. Ad ogni incontro dell’uno, ne corrisponde uno dell’altro. Entrambi hanno ridimensionato le loro attività professionali per dedicarsi anima e corpo alla causa: ad ogni mossa conquistata dall’uno, l’altro risponde. E sarà così, almeno fino all’anno prossimo, anno di svolta per il futuro della riforma.

Comunque vada, infatti, il processo per la riscrittura del sistema elettorale dovrà cominciare agli inizi del 2014. Dovrà essere presentata la proposta di riforma, che dovrà passare il vaglio del LegCo. Se ciò non accadrà, l’appuntamento con il voto per tutti dovrà essere rimandato di altri 5 anni, alla prossima elezione del Chief executive.

In questa prospettiva Tai è pronto ad occupare Central. “Ci sarà la prima ondata, a cui seguiranno gli arresti. È allora che la popolazione dovrà seguirci e riprendere ad occupare, se passati dieci giorni ancora la situazione non è cambiata”. Benny Tai sta studiando il piano fino ai minimi dettegli. Gli aderenti di Occupy central dovranno firmare un documento che sancisce la loro automatica espulsione nel momento in cui dovessero essere protagonisti di fatti di violenza. “Dobbiamo prevenire possibili infiltrazioni”, spiega. Ma ora quello a cui punta “è la simpatia della gente”, con il sostegno via social network o la partecipazione agli incontri sulla non violenza “Non ci sarà nessuna ondata, conquisteremo prima l’appoggio dalla maggioranza silenziosa di Hong Kong – replica Chow – . In una settimana abbiamo già 12mila like su Facebook”. Perché la rivoluzione hongkongina parte sulle piazze virtuali. Intanto il Re Sole – Pechino, osserva la scena con la solita calcolata freddezza, sapendo che il tempo gioca dalla sua parte. E alla fine la partita sarà sua, con o senza la maggioranza silenziosa di Robert Chow. Nel caso in cui Hong Kong dovesse diventare ingovernabile è previsto dalla Costituzione che Pechino possa intervenire con l’esercito. “Se dovessi fallire, lascerò il Paese – dichiara Chow -. Avrei tanti posti dove andarmene. Negli Usa dal mio nipotino appena nato, oppure nella Mainland (la Cina “continentale”, ndr) ad aprirmi una fattoria. Se ho iniziato questa battaglia è perché amo Hong Kong”. Chi ama di più la sua città: un professore che vuole battersi per ottenere il diritto di voto per tutti, o un anziano giornalista che vuole impedire di inimicarsi Pechino e far piombare Hong Kong nel caos? La partita è appena iniziata.

 

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3 commenti »

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