La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità
5 Ottobre 2023 – 17:07 | Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.In un metaverso che vede archiviata… Read more

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Sorella di Ministro? Prego si accomodi.

Scritto da – 12 Dicembre 2010 – 10:44Un commento

Angiola Tremonti, ex insegnante, membro della commissione Arredo e Decoro Urbano del comune di Milano, leader della Lista Tremonti del Comune di Cantù, scultrice e pittrice, è protagonista dal 17 settembre di una mostra antologica alla Galleria d’Arte Moderna di Milano. Sarebbe fin troppo facile avvicinarsi all’evento con aria diffidente, ma in questi casi la cosa migliore è analizzare neutralmente l’accaduto partendo dalle premesse, presentandosi quindi al vernissage della mostra. Sera del 16 settembre, un meeting della Milano che conta, da Wilma De Angelis all’architetto Mangoni di Elio, fino a qualche rappresentante militare, non manca proprio nessuno agli attesi nastri di partenza. L’assessore alla cultura della Lombardia Massimo Buscemi fa subito capire a chi fosse rimasto estraneo alla realtà nazionale Italiana degli ultimi dieci anni di cosa stiamo parlando. Senza attendere e senza richiedere interventi altrui dichiara che solo i malfidati potrebbero pensare ad un’intercessione politica, La Tremonti è una vera artista, e che, se fosse presente tra la folla un giornalista del Giorno che nei giorni prima aveva polemizzato riguardo all’imminente evento, avrebbe dovuto soltanto farsi avanti e dire adesso la sua. Peccato fosse difficile trovare un giornalista del quotidiano milanese tra i cinquanta astanti del parco retrostante il Museo dell’Ottocento, e il “se ha coraggio si faccia avanti” risuona anomalo come appello, se non come cautela di un’amministrazione previdente.  In realtà gli invitati attendono solo il buffet lumbard a base di salsiccia e frittata, e non si trattengono un minuto oltre la scomparsa del catering per mirare le sculture dell’artista. Quest’ultima chiede di “esser chiamata solo per nome”, anche questa come una mossa ingiustificata, vista l’assenza –almeno fino a quel momento- della stampa e delle critiche su una collezione che ancora doveva essere svelata al pubblico.  In ogni caso molti cominciano ad avere primi interrogativi e dubbi, che vengono alimentati dalla visione delle sale in esposizione.

Le opere ci sono, sculture in resina definite dalla Tremonti Mabille, incarnazioni della natura femminea in cui le sembianze umane si confondono e mimano quelle animali e floreali, in una simbiosi catartica e panica tra seni materni e zampe feline, polsi e caviglie che si evolvono in radici e arbusti, cosparsi delle foglie autunnali dei boschi autunnali di Cantù, terra d’origine dell’artista.

L’insieme è gradevole (a parte qualche imbarazzante caduta di stile, come la Gattoca, essere mutante che incrocia le due creature senza conferire riflessioni o sufficiente ironia), ma questo non può bastare. L’operato della Tremonti, questa specie di greatest hits (la mostra si intitola difatti Sculture 2000-2010), è il risultato di una passione che nessuno mette in discussione ma che non ha assolutamente lo spessore artistico per esser presentata in uno dei templi della cultura milanese. La Galleria d’Arte Moderna è dal 1921 una delle raccolte civiche di maggior rilevanza sul suolo italiano, collezionando opere che comprendono i maggiori artisti italiani dal neoclassicismo ai primi del Novecento, da Appiani ad Hayez, da Segantini a Previati, da Boldini a De Nittis, fino al capolavoro indiscusso simbolo del museo, Il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo. È inoltre arricchita da alcune collezioni private, come Grassi, Vismara e Durini, che annoverano gemme rare di maestri che si estendono cronologicamente fino ai primi decenni del ventesimo secolo, da Sironi a Guttuso, da Boccioni e Balla fino ad alcuni illustri “stranieri” come Van Gogh, Cezanne, Gauguin, Manet, Lautrec e molti altri.

L’attinenza quindi dell’esposizione temporanea in questione è inappriopriata su due fronti: tra le gesta Tremontiane non sono presenti opere minimamente coerenti o dialoganti o tributarie del periodo storico-artistico rappresentato a livello internazionale dalla Galleria (gli artisti temporalmente più vicini sono Morandi e Modigliani), né tantomeno adeguate alla qualità magistrale delle collezioni, all’immortalità di opere riconosciute di rilevanza capitale per l’apprendimento dei progressi artistici nei suddetti periodi storici.

Chiunque può avere diritto ad esporre le proprie creazioni, ma in ambienti proporzionati al proprio valore, partendo come tutti da una carriera da consolidare prima in sede di gallerie private, manifestazioni, esposizioni a concorso o con concessioni pubbliche conquistate comunque sul campo. Il privilegio di occupare un ‘istituzione comunale talmente prestigiosa con una monografica non è stato concesso neanche a Maurizio Cattelan, che dopo vent’anni di reale gavetta e di illustri riconoscimenti mondiali, fino a diventare l’artista italiano vivente più conosciuto a livello internazionale, ha dovuto lottare per esporre tre opere per qualche settimana nelle sale di Palazzo Reale a Milano. La consacrazione ufficiale è giunta dopo infiniti premi, apprezzamenti, rivoluzioni e provocazioni, ma sempre all’insegna di un’incessante ricerca sperimentale, per quanto discutibile e criticabile.

La Tremonti dopo una serie eventi di livello locale (in sale civiche e spazi d’arte a Cantù, Como, Lecco, Lorenzago di Cadore, Busto Arsizio e Auronzo) e altre inspiegabili mostre in ambienti instituzionali (vedi l’ex Casa del Fascio di Como o Palazzo Isimbardi, sede principale della Provincia di Milano) è straordinariamente arrivata a lambire con poche mosse il suolo di Villa Bonaparte, la reggia in cui il Generale Radetzky passò a miglior vita senza sapere che un giorno il suo capezzale sarebbe stato sostituito con una marmotta dai seni pendenti (Marmotta, maternità pensierosa, 2009, ndr) della beneamata Angiola.

Mi presento sempre solo come Angiola e preferisco dimenticare il mio cognome, io sono io e voglio essere rispettata per la mia capacità o incapacità.” Completamente d’accordo con le dichiarazioni del Tgcom, soltanto che viene da chiedersi – come ha sottolineato anche l’ex assessore Vittorio Sgarbi in un commento pubblico pubblicato su Arslife– come si fa a concedere un tale riflettore eternizzante ad un operato amatoriale che ha legittimità di esser visto, ma nella location appropriata, come qualche galleria fuori regione dove la signora Tremonti può farsi veramente le ossa, aspirando forse tra qualche anno ad esser invitata al MiArt, all’Arte Fiera di Bologna, all’Art Basel, fino a raggiungere tra qualche secolo pure una Galleria Nazionale accanto ai grandi classici del nostro paese.

Giuseppe Pellizza Da Volpedo non soltanto non venne apprezzato in vita per il monumentale capolavoro che il museo ospita, ma venne portato dal non riconoscimento del proprio valore ad una disperazione che si tramutò in suicidio. Lascia perplessità vedere quindi come la città di Milano abbia cambiato tenore e coscienza morale nei confronti degli artisti che la popolano. Con Pellizza vi fu severità di giudizio, ma poi gli stessi cittadini milanesi anni dopo la morte dell’artista comprarono il Quarto Stato con una sottoscrizione civica; adesso permettono che un nome assolutamente non  riconosciuto universalmente come artista quotato e stimato possa esibirsi a nome e simbolo della città e delle sue offerte culturali, senza approvare e senza neanche interessarsi dell’accaduto. Sì, perché a Milano la mostra non è stata sicuramente apprezzata, tanto da richiedere da parte dell’artista un’arbitraria proroga della scadenza, procedura solitamente attuata in caso -non presentatosi- di evidente plauso o apprezzamento del pubblico o degli addetti ai lavori. Tuttavia non sono state mosse sufficienti critiche a questa incomprensibile proposta del cartellone culturale del Comune di Milano, oltre a rare e attente testate giornalistiche di settore o sparuti quotidiani a diffusione nazionale. Indifferenza bipartisan, come se tutto fose lecito, giustificabile…e ignorabile.

Da parte sua l’artista ha allora giocato la disperata carta della contemporaneità provocatrice, velando di pezze di cotone i volti dei busti neoclassici di Marchesi, Comolli e Schadow riducendo L’Achille Ferito, Alessandro Volta e Vicenzo Monti  a delle comari di paese, o delle mondine anni ’50. Da novella Christo La Tremonti ha tentato di suscitare maldestramente attenzione sulle proprie sculture imbacuccando i caplavori del XIX secolo, con una mossa inconsapevolmente di sapor talebano che dovrebbe esprimere l’importanza della presenza femminile anche nella vita di questi illustri esemplari di icone maschili. La “performance” comunque sia è stata immediatamente presa per quello che è: un misunderstanding sul valore dell’arte contemporanea in toto, imitando gesti popolarmente considerati “eccentricità artistiche” senza corredarli di duraturi e giustificabili contenuti, senza la benché minima statura concettuale. I visitatori insorgono, lasciano commenti sbigottiti su come viene trattato a proprio piacimento un museo dove studiosi e turisti si erano recati in questo mese proprio per studiare quelle sculture che adesso trovano mutilate nella loro aura artistica, non analizzabili e in più facenti parte di un teatrino che assomiglia a tutto meno che a qualcosa di definibile come “Arte”.

Parlando di Angele e di Angiole, rimaniamo curiosi chiedendoci quando potremmo attenderci una monografica del cugino della Merkel all’Alte Pinakothek di Berlino. Sperando di poterci imbucare all’ambito vernissage.

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