Salvati dal rogo di piazza: censura alla Provincia di Venezia
Un altro caso di censura, l’ ennesimo. Se la “Legge Bavaglio” dei primi di ottobre ha messo in crisi il già precario sistema d’ informazione italiano, in realtà si scopre su internet e non solo, che nel 2011 questo non è stato un caso isolato: basta andare indietro di qualche mese, precisamente al 18 gennaio, per sapere che un membro della giunta della Provincia di Venezia ha dichiarato di voler mettere al bando, eliminandole dalle biblioteche pubbliche, le opere di coloro che avevano firmato nel 2004 a favore di Cesare Battisti. Fra gli intellettuali che sottoscrissero il documento si devono segnalare Nanni Balestrini, Daniel Pennac, Laura Grimaldi, Vauro, Gianfranco Manfredi, Tiziano Scarpa, Loredana Lipperini, Pino Cacucci e persino il direttore della Mostra del cinema di Venezia Marco Muller. La motivazione che è stata portata dalle istituzioni per difendere questa decisione non considerava il vero contenuto degli scritti, ma il fatto che gli autori si fossero schierati dalla parte di un terrorista-dichiareranno poi che la loro firma è frutto di una ricerca più approfondita sul caso Battisti rispetto ai molti punti oscuri che non erano, a parer loro, stati indagati abbastanza a fondo dall’ opinione pubblica. In realtà, in questa sede non si vuole discutere se sia stata una decisione giusta quella presa da questi intellettuali, quanto se fosse il caso di togliere la libertà al cittadino di aprirsi a libri che probabilmente non trattano neppure di questo argomento di cronaca. Siamo nell’ epoca di un lettore “democratico”, libero di scorrere gli scaffali della biblioteca, di approcciarsi al genere che più gli interessa e di eventualmente poter chiudere il volume e mai più riaprirlo, senza che nessuno gli indichi cosa debba scegliere. Non può essere, quindi, un atto per “proteggere” chi legge perché ormai le persone hanno imparato da sé dove rivolgere il loro sguardo; non deve neanche essere una morsa contro i contenuti di un determinato testo, altrimenti il richiamo a Fahrenheit 451 che mezzi d’ informazione nazionali hanno evocato, forse non si dimostra così arcaico. Proprio l’ argomento delle opere qui censurate è il nodo cruciale: forse si è pensato che il testo sia imprescindibile dalla mente che l’ ha creato, cosa assolutamente vera, ma non è detto che tutte le sfumature di chi scrive siano presenti. Volgarmente: cosa vuol dire togliere il piacere di leggere per una presa di posizione che nei testi non viene neppure citata? Se si ragionasse per idee veicolate dalla lettura, allora nemmeno opere come le Mein Kampf di Hitler potrebbero essere più tollerate nelle biblioteche, eppure sono accomodate sugli scaffali pubblici. Forse è giusto che si mantengano a disposizione anche queste letterature “estreme”, “Vita di Arnaldo” di Mussolini inclusa, perché sono state parte imprescindibile della storia mondiale e con la loro presenza aiutano a ricordare-non è che non rendendo più disponibile le memorie di Hitler, si estinguerebbero coloro che parteggiano tuttora per il nazismo: quante idee sono sopravvissute nei secoli attraverso l’ oralità? Per lo meno su questa vicenda si può scrivere un finale positivo: il buon senso ha prevalso, la proposta è stata ritrattata e i libri rimarranno dove sono sempre stati.
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