La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità
5 Ottobre 2023 – 17:07 | Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.In un metaverso che vede archiviata… Read more

Leggi l'articolo completo »
Società

immersione esistenziale del tessuto del sociale

Politica

Dagli alti ideali ai bui sottoscala del Parlamento. Spaccato sulla sfera Politica di una Italia in declino

Scuola e Università

Vita tra le mura d’Ateneo: l’orizzonte universitario

Cultura

Arte, Musica, Letteratura. Dalle Humanae Litterae, il pane dell’Anima

Informazione

Dalla televisione alla carta stampata. Le mille sfumature del giornalismo.

Home » Politica, Società

DDL intercettazioni:intervista con Alessandro Galimberti, consigliere nazionale dell’Unci

Scritto da – 29 Agosto 2010 – 11:5140 commenti

“Un attentato a una serie di diritti costituzionali” con “costi sociali e di democrazia altissimi”. Alessandro Galimberti, giornalista del Sole 24 ore e consigliere dell’Unione nazionale cronisti italiani con delega ai problemi della cronaca giudiziaria, commenta il ddl sulle intercettazioni. E il giudizio è impietoso.

Galimberti, qual è la sua opinione sul disegno di legge relativo alle intercettazioni telefoniche?

“Sul versante delle investigazioni, è un provvedimento criminogeno, considerato che indebolisce oltre ogni ragionevolezza uno strumento fondamentale di indagine, l’unico rimasto, per esempio, per colpire la mafia e le associazioni criminali molto ramificate. Per quanto riguarda la pubblicabilità degli atti, invece,  la questione è ancora peggiore: è un attentato a una serie di diritti costituzionali”.

Ritiene tale provvedimento in contrasto con l’articolo 21 della Costituzione?

“Questo è fuori discussione. Dal ddl Mastella in poi, l’atteggiamento dei governi italiani verso l’informazione giudiziaria dopo Bancopoli, Vallettopoli, Calciopoli  è stato il seguente: non si deve pubblicare più nulla. Non potendo contestare alcun reato a nessuno, perché in tutte quelle inchieste non è mai, e sottolineo mai, stato violato il segreto d’indagine (al contrario di troppe falsità messe in giro ad arte) la politica ha scelto di cambiare le regole con un irragionevole colpo di spugna. Che però ha costi sociali e di democrazia altissimi. Il diritto all’informazione certo, ma io penso con raccapriccio a che cosa significhi tornare a un regime in cui polizia e giudici possono lavorare in una zona resa buia e impenetrabile dalla legge stessa. Nessuno si rende conto che questo modo di intendere l’amministrazione della giustizia è medievale, kafkiano, da Inquisizione. E’ incredibile come la trasparenza dell’indagine, conquistata dopo millenni di abusi dell’autorità statale, oggi venga agitata davanti all’opinione pubblica, sempre più imbalsamata da reality e tv spazzatura, come una minaccia”.

A che punto dell’inchiesta bisognerebbe dare il via libera alla pubblicazione degli atti?

“Le regole in vigore dal 1989 (Nuovo codice di procedura penale) sono perfette: dal momento in cui l’indagato e/o il suo difensore ricevono gli atti, su questi cade il segreto. Oggi, almeno fino al processo, non si possono pubblicare gli atti integralmente, ma nessuno può vietare che il giornalista riporti il contenuto dei provvedimenti giudiziari. Ma lo stesso divieto di pubblicazione integrale, spesso violato in questi anni dai giornalisti, ha una sua logica effimera: non è per preservare la privacy degli indagati – questa è la più gigantesca stupidaggine che si è riusciti a  inventare – ma è per salvaguardare la “verginità conoscitiva” del giudice che giudicherà. Per questo la sanzione in vigore oggi è un’ammenda di natura contravvenzionale”.

La sanzione penale per i giornalisti rispetta il principio della proporzionalità della pena?

“Dipende di che cosa parliamo. Sanzioni penali, anche molto pesanti, per i giornalisti esistono già e nessuno si sogna di contestarle: per la diffamazione a mezzo stampa si rischiano fino a sei anni di carcere. Però quello è un reato, che presuppone il dolo. Colpire invece i giornalisti solo perché informano in modo corretto, come è stato fatto in Italia negli ultimi anni, tradisce un’ indole da repubblica delle banane, cattive intenzioni da cattiva coscienza. Il ddl Alfano, almeno nel testo licenziato dalle commissioni parlamentari a febbraio, è un monumento all’incostituzionalità. Se ne è resa conto anche la presidente Giulia Bongiorno, che ha parlato della necessità di ricalibrare il rapporto dei diritti costituzionali in ballo”.

Di fronte al rischio di multe molto salate (fino a 370mila euro), come si comporteranno, a suo parere, gli editori?

“Questo è il grimaldello occulto per disinnescare la libertà di stampa, e guarda caso compare anche nel testo presentato dall’opposizione. Estendere la responsabilità penale alle società editrici significa autorizzare l’editore a predisporre dei “protocolli di comportamento aziendale” che, se violati, fanno scattare il licenziamento immediato e, di fatto, non impugnabile. Un esempio? Il cronista che pubblicherà verbali, anche se non più segreti, il giorno dopo si troverà in strada. Questa norma è  peggio del carcere, perché non lascia nemmeno la libertà di scelta. Se poi pensiamo che la responsabilità penale delle aziende nasce per perseguire il management criminale delle grandi Companies nei crac tipo Enron, Parmalat, Lehman, ci si rende conto dell’ignominia: il Parlamento italiano brandisce la scure contro dei professionisti colpevoli solo di fare, e bene, il loro lavoro esercitando per di più un diritto garantito dalla Costituzione”.

È stata ventilata l’ipotesi di sostituire il carcere con la radiazione dall’Ordine dei giornalisti, misura forse più dissuasiva. Cosa pensa in proposito?

“Slanci umorali sui quali preferirei sorvolare. Il fatto è: o il giornalista è un delinquente, e allora lo si arresti, lo si radi e lo si mandi alla berlina di qualche talk-show tv; ma se invece ha svolto il suo lavoro, che magari è solo quello di disturbare “i maiali più uguali degli altri” (citando George Orwell) non dico di dargli una medaglia, ma almeno lasciamolo in pace”.

Maurizio Gasparri ha dichiarato: “Perfezioneremo il ddl, ma il carnevale di pubblicare tutto è finito”. Esiste davvero questa tendenza a “pubblicare tutto”?

“Nessuno dice che i giornalisti non sbaglino mai. Nella scalata alla Banca Antonveneta, per esempio, è stato pubblicato il famoso sms “Ti amo” di Anna Falchi a suo marito pro tempore, Ricucci: una sciocchezza, fuor di dubbio, ma anche a prescindere dalla effettiva lesione della loro intimità coniugale, Gasparri finge di non capire che  in quegli atti giudiziari c’era materia per scrivere un trattato sul capitalismo italiano. E se in Vallettopoli un paio di cialtroni sproloquiavano sulle abilità di un’incolpevole e assente aspirante attrice, da quell’indagine si capiva tra l’altro a che cosa serva l’apertura pomeridiana di certi uffici ministeriali, e l’utilizzo di certe auto blu. Gasparri ha ragione solo su una cosa: gli eccessi  vanno puniti con severità, ma con le regole esistenti già oggi (a parte le denunce penali, in Italia pendono richieste di risarcimento danni da diffamazione per oltre 10 miliardi di euro). Non può pensare di dar la caccia ai passeri con un arsenale nucleare”.

Il carcere per il giornalista che pubblica ascolti da distruggere è, per la Fnsi, una norma intimidatoria. Ma la pubblicazione di questi ascolti, estranei al processo e relativi alla vita privata, non equivale a una violazione della privacy?

“Pongo una domanda: se nelle telefonate da distruggere ci fossero fatti che non sono reato ma che rivestono una rilevante importanza sociale? Per esempio: accordi di cartello tra tv pubblica e tv privata? Inciuci sottobanco tra politici? Se invece parliamo di pettegolezzo tout-court, ripeto, già oggi la vittima può far piangere, ma davvero, il giornalista guardone con i ricorsi al tribunale civile e al garante della privacy per ottenere risarcimenti molto cospicui. Inserire in questo contesto la galera significa intimidire la stampa, atteggiamento intollerabile in una democrazia”.

Divieto di pubblicare nomi o immagini di magistrati: si tratta di censura?

“Anche questa è una misura su cui, evidentemente, chi ha presentato l’emendamento non ha riflettuto abbastanza. La visibilità di un magistrato permette all’opinione pubblica anche di valutarne la personalità, oltre all’operato: per esempio, dici John Woodcock e chiunque, oggi, in Italia ha una sua idea in proposito. Far “sparire” i magistrati è un’arma a doppio taglio: nel segreto totale dell’indagine e nel segreto totale sull’identità del pm, chi può garantire la tenuta democratica del sistema?”

Questo ddl rappresenta la morte della cronaca giudiziaria?

“Senza dubbio sì. Ma anche l’inizio del tramonto, per legge, della democrazia partecipativa”.

Forse potrebbe interessarti:

Facebook comments:

40 commenti »

Lascia un commento!

Aggiungi il tuo commento qui sotto, oppure esegui un trackback dal tuo sito. Puoi anche iscriverti a questi commenti via RSS.

Sii gentile, rimani in argomento. Lo spam non sarà tollerato.

È possibile utilizzare questi tag:
<a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>

Questo sito web supporta i Gravatar. Per ottenere il proprio globally-recognized-avatar, registra un account presso Gravatar.