Il processo Mills
La donna si aggirava tra gli scaffali di un noto supermercato a Milano, ben vestita e con un bimbo per mano, nascondeva scatolame nella propria borsa con l’intento di rubarlo. È stata scoperta e denunciata: si è presa cinque mesi di carcere. D’altronde lo Stato non aiuta tutti e la donna si è dovuta arrangiare da sola. Alle spalle una separazione, poi la perdita del lavoro, poi le tante tasse da pagare, le medicine e tutto il resto. A pochissimi chilometri da lì, sempre a Milano, nelle stanze grigie della decima sezione del Tribunale, un uomo, inglese, ben vestito e con una valigetta piena di carte e cartacce, è stato giudicato e condannato per aver intascato 600 mila dollari in cambio di alcune false testimonianze che avrebbero aiutato di fronte alla legge un altro uomo che, guarda caso, è il nostro Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, alias Mister B. Quell’inglese si chiamava David Mills ed era un avvocato. Si è preso 4 anni e sei mesi di reclusione, almeno in primo grado, per corruzione, cioè per essere stato corrotto dallo stesso Silvio Berlusconi che, nel frattempo, sentendo puzza di bruciato, aveva provato, senza riuscirci a far approvare lo scudo spaziale Alfano, che lo avrebbe messo al riparo da sentenze di prevedibile colpevolezza. Cioè David Mills prende soldi da Silvio Berlusconi per dire il falso davanti ai giudici, Mills viene punito e Berlusconi no. Non solo. Lo stesso Mills, paradosso, è stato altresì condannato al versamento di 250.000 euro alla Presidenza del consiglio, costituitasi parte civile. Ovvero, il corrotto, ha pagato l’ufficio del corruttore, per essere stato corrotto. Viene voglia di abbandonare il paese e restituire la carta di identità. Magari in Uganda certe cose non succedono. Un cammino processuale confermato in appello ma prescritto in cassazione, confermando il solo risaricimento del danno patrimoniale. Qundi la corruzione c’è stata a tutti gli effetti . Questo, ovviamente, non implica il fatto di essere innocente, ma solo di non essere stato ancora condannato.
L’unica , piccola differenza è che l’imputato non è un normale cittadino (che peraltro sarebbe già in carcere da un pezzo) ma il primo ministro di uno Stato . Colui che ne dirige il timone. Colui che dovrebbe fungere da esempio per i cittadini. Colui, ancora, che dovrebbe essere al di sopra di ogni sospetto, delegato ad amministrare lo stato in nome del popolo sovrano. Invece è il primo nella lista dei sospettati. Dei presunti colpevoli di una miriade di reati. Dei certi imputati di una serie di processi che per un motivo o per un altro non sono mai giunti a conclusione. Ma non è il solo. Tutti siamo correi. Permettendo che costui sieda a Palazzo Chigi invece che nell’aula di un Tribunale. Permettendo che possa rispondere alle sole domande di giornalisti compiacenti (“non rispondo a Repubblica”). Delegando ad altri la responsabilità di essere cittadini e non telespettatori talmente smemorati e menefreghisti da accettare rumorose smentite di colossali stronzate nell’arco di 24 ore. Lui la dice, ci prova. Se l’esito è fausto allora tace. Altrimenti smentisce. Tanto noi, polli di batteria, continuiamo a dargli retta. A credere nei misunderstanding. Nelle interpretazioni errate di certa stampa di sinistra. O nei castelli accusatori di certa magistratura, sempre di sinistra. Nelle frasi dette e proprio per questo, mai pronunciate. Come quelle risucchiate nel tubo della memoria di Orwell. Autore che mi ero promesso di non ricitare, ma che continua a stupire con l’attualità di 1984, anno della discesa in campo. La data non è sbagliata. Ma domani rettifico.
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