La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità
5 Ottobre 2023 – 17:07 | Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.In un metaverso che vede archiviata… Read more

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Le primavere arabe tra strumentalizzazioni integraliste e difese popolari

Scritto da – 21 Dicembre 2012 – 16:092 commenti

Il fenomeno delle primavere arabe è stato accolto in Occidente, a seconda dei momenti, in modi molto diversi e a volte contraddittori; in origine salutate come lotte per la libertà, poi viste come foriere di guerre civili oppure come veicoli di diffusione dell’integralismo islamico, oggi come estremo tentativo delle popolazioni di chiedere forme di governo democratiche e migliori condizioni di vita.     In realtà le primavere arabe, pur se accomunate da cause molto simili e in parte dalle forme di protesta, hanno avuto esiti molto diversi a seconda delle reazioni dei governi alle richieste popolari e degli interessi delle potenze occidentali, che sono andati dall’invasione militare (Libia) al progressivo disinteresse, com’è il caso della Siria.

Le primavere arabe non hanno riguardato però soltanto i paesi musulmani del Mediterraneo, ma anche alcuni paesi dell’Africa nera (Gibuti, Mauritania) e gran parte degli stati della penisola arabica, oltre all’Iran.

Le cause delle Primavere arabe sono state molteplici; la presenza di regimi dittatoriali, le tensioni fortissime che già attraversavano paesi resi instabili da guerre civili o dalla presenza di nuclei di terroristi islamici, richieste inascoltate di riforme politiche, assenza di lavoro e di prospettive per il futuro, la corruzione della politica, scontri tribali, la presenza di sistemi politici basati sul confessionalismo.

La caduta delle dittature in Egitto e in Tunisia è stata determinata dall’unità dell’intera popolazione contro il governo, ma ora si sta verificando una pericolosa spaccatura all’interno di questi paesi, che divide da una parte coloro che chiedevano riforme politiche, sistemi costituzionali e forme di governo democratiche e dall’altra gli integralisti che stanno cercando di approfittare del vuoto di potere per raggiungere il governo e creare nuovi stati teocratici, in ragione del fatto che le dittature abbattute si erano fin dall’inizio espresse in favore della laicità dello stato.

Un altro elemento di instabilità è rappresentato dal fatto che molti dei paesi musulmani mantengono ancora oggi una forte presenza tribale; in Mauritania, ad esempio, le proteste sono sorte a causa delle precarie condizioni economiche della popolazione, ma pare anche a causa della discriminazione di alcuni gruppi tribali da parte del regime militare, guidato dal presidente Abdel Aziz, al potere dal 2008. In alcuni paesi come la Libia o lo Yemen (quest’ultimo già teatro di una spaventosa guerra civile dal 2004 e sottoposto alle infiltrazioni di cellule terroristiche), il vuoto di potere creato dalla caduta dei regimi di Gheddafi e di Saleh ha permesso ai clan di aumentare il loro potere economico e politico, peraltro già molto forte in precedenza, tanto da garantire essi stessi la stabilità di questi paesi.  In Libia, la tensione rimane  altissima, perché il paese rischia di dividersi in due stati, la Tripolitania e la Cirenaica (d’altro canto, la primavera era partita dalle città cirenaiche e da Bengasi in particolare, mentre Tripoli era rimasta fino all’ultimo leale a Gheddafi) e l’attentato compiuto all’ambasciata statunitense nel settembre 2012 ha mostrato la debolezza dell’esercito governativo.

Le proteste scoppiate per motivi confessionali hanno riguardato il Libano e il Bahrein. Le proteste in Libano sono indirizzate contro il sistema confessionale dello stato, retaggio del passato coloniale francese, che ha mantenuto il potere centrale diviso tra più di dieci confessioni diverse, ognuna rappresentata in parlamento. Il confessionalismo è stato inserito nella Costituzione del 1943, ma ha segnato la politica libanese fino allo scoppio della guerra civile (1975 – 89) che ha interrotto la stagione felice in cui Beirut era la “capitale finanziaria del Medio Oriente”. Anche in Bahrein, le manifestazioni sono sorte principalmente per motivi confessionali (la popolazione è al 70 % sciita, ma i ceti più abbienti e la stessa dinastia regnante sono sunnite), ma anche per la richiesta di riforme politiche. L’intervento militare saudaita in Bahrein, richiesto dal sultano, è stato sostenuto da Riyadh per prevenire possibili proteste sciite nelle ricche regioni petrolifere, ma ha suscitato le dure e minacciose prese di posizione dell’Iran.

In Siria, l’incapacità di trovare una soluzione all’impasse causato dall’opposizione russo – cinese di intervenire contro il regime degli Assad, ha fatto precipitare il paese in preda ad una spaventosa guerra civile che si sta inasprendo sempre più. La tensione è acuita inoltre dal fatto che la guerra potrebbe estendersi ai paesi vicini, dal Libano alla Giordania (dove si stanno concentrando molti profughi) alla Turchia, che ha già schierato l’esercito in prossimità del confine siriano dopo che alcuni razzi erano caduti su villaggi turchi, fino all’Iran, strenuo difensore del regime siriano.

Le crisi economiche e politiche hanno spesso esiti imprevedibili da un punto di vista geopolitico, perché chiudono una fase storica e contemporaneamente ne aprono un’altra; la fase intermedia tra le due è contrassegnata da fenomeni inaspettati.

Le Primavere arabe sono state – e sono – movimenti eterogenei, accomunati però da cause fondamentali, la richiesta di riforme politiche in paesi con governi immobili, la volontà di instaurare la democrazia in stati con regimi dittatoriali, la mancanza di lavoro, la distribuzione iniqua della ricchezza. In ogni paese arabo attraversato dalla Primavera, la reazione è stata diversa, in alcuni ha avuto esiti drammatici, in altri i governi hanno risposto alle richieste della popolazione. È stata la prima rivoluzione della storia scaturita da internet e dai social network, dimostrando quanto la tecnologia possa unire realmente una popolazione per fare politica in paesi in cui il diritto di pensiero e il diritto di stampa sono vietati.

Alle popolazioni arabe resta ancora molto da fare e gli esiti possono essere molteplici; in Tunisia, dopo la caduta di Ben Ali, le prime elezioni democratiche sono state vinte dal partito islamico moderato Ehannada, che nonostante le rassicurazioni fatte ai paesi occidentali, ha ripristinato l’uso del velo per le donne e sta lentamente portando la Tunisia verso una nuova ondata di islamizzazione. In Egitto la popolazione è scesa di nuovo in piazza per protestare contro la nuova costituzione autocratica; in Libia e in Yemen la situazione resta appesa ad un filo.

In realtà, in occidente le Primavere arabe sono state descritte con i termini più svariati, salutate inizialmente come “lotte per la libertà”, poi – con le guerre civili in Libia e in Siria – hanno assunto connotati parzialmente negativi e descritte come portatrici di instabilità, infine, con le vittorie dei partiti islamici, viste in alcuni casi come regressiste.

Queste descrizioni non tengono conto della presenza ancora forte dell’elemento tribale negli stati africani e medio orientali, che si è rafforzato grazie alla crisi dei regimi dittatoriali in stati come lo Yemen e la Libia, o che è stato tra le cause delle proteste, come in Mauritania; i regimi si sono retti anche grazie all’appoggio dei clan, concedendo loro una larga autonomia e il controllo dei traffici commerciali.

La presenza di gruppi islamici – in particolare i salafiti e il movimento dei Fratelli musulmani, un’organizzazione politica fondata in Egitto nel 1928 e ispirata ad un fondamentalismo islamico radicale e che puntava alla creazione di uno stato teocratico basato sulla Sharia, messa fuori legge già da Nasser nel 1954 – e la loro vittoria alle prime elezioni in alcuni paesi (Tunisia, Egitto) ha messo in allarme gli stati dell’occidente; anche la presenza di gruppi legati ad Al Qaeda nello Yemen e tra i gruppi di oppositori nelle proteste siriane e giordane costituisce ulteriore elemento di tensione.

Il riconoscimento della Palestina come stato (seppure non ancora membro dell’Onu) lascia ben sperare, perché ha sancito la vittoria di un gruppo arabo moderato e ha di fatto fermato la possibile escalation che sarebbe potuta derivare da un ennesimo conflitto tra Israele e Hamas.

Le Primavere arabe non sono ancora finite, occorre osservarne l’evoluzione politica e culturale senza distorsioni o pregiudizi, perché gli scenari geopolitici che ne usciranno cambieranno il Mediterraneo e, di riflesso, anche le nostre società.

Alessandro Di Meo


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