La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità
5 Ottobre 2023 – 17:07 | Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.In un metaverso che vede archiviata… Read more

Leggi l'articolo completo »
Società

immersione esistenziale del tessuto del sociale

Politica

Dagli alti ideali ai bui sottoscala del Parlamento. Spaccato sulla sfera Politica di una Italia in declino

Scuola e Università

Vita tra le mura d’Ateneo: l’orizzonte universitario

Cultura

Arte, Musica, Letteratura. Dalle Humanae Litterae, il pane dell’Anima

Informazione

Dalla televisione alla carta stampata. Le mille sfumature del giornalismo.

Home » Informazione

Il metodo Feltri: la bastonatura giornalistica

Scritto da – 12 Dicembre 2010 – 10:08Un commento

Manganello giornalistico, killeraggio mediatico, macchina del fango, metodo Boffo. Tanti nomi per lo stesso concetto: chi critica Silvio Berlusconi viene bastonato dai media di famiglia. Giornali – o meglio Giornale, ma non solo –  che, anziché fare da cane da guardia della democrazia, fanno da cane da guardia del padrone. Il più ringhioso è senza dubbio il doberman Vittorio Feltri. Quando morde, il direttore editoriale del quotidiano di via Negri lascia il segno. Ne sa qualcosa Dino Boffo, dal cui caso partiamo in questa rassegna del fango.

 Il metodo Boffo

“Il supermoralista condannato per molestie” è il titolone del Giornale del 28 agosto 2009. Occhiello: “Incidente sessuale del direttore di Avvenire”. Sommario: “Dino Boffo, alla guida del giornale dei vescovi italiani e impiegato nell’accesa campagna di stampa contro i peccati del premier, intimidiva la moglie dell’uomo con il quale aveva una relazione”.

Segue editoriale a firma di Vittorio Feltri, in cui il direttore “smaschera”, parole sue, i tanti moralisti “sprovvisti di titoli idonei”, così che i cittadini possano sapere “da quale pulpito vengono certe prediche”. Siamo nel mezzo dello scandalo sul giro di prostituzione che avrebbe coinvolto Berlusconi, e tra coloro che criticarono il comportamento del premier, c’era anche l’allora direttore di Avvenire. Feltri decide così di dimostrare come Boffo predichi bene sebbene in passato abbia razzolato male: “Se i vescovi hanno affidato al direttore Boffo il compito di loro portavoce si sono sbagliati di grosso – scrive -, non perché lui non abbia capacità tecniche, bensì perché è privo dei requisiti morali per fare il moralista o per recitarne la parte”. E infatti, si legge nell’editoriale, Boffo fu coinvolto in un procedimento penale per molestie telefoniche commesse tra il 2001 e il 2002 ai danni di una donna con lo scopo di spingerla a lasciare il compagno, amante dello stesso Boffo. In realtà, Il Giornale pubblica una notizia vera, ossia il patteggiamento a Terni per molestie telefoniche, e un documento falso: un’informativa allegata al decreto del Giudice dell’udienza preliminare umbro che definiva l’allora direttore di Avvenire “un omosessuale attenzionato”. A seguito di una serie di attacchi, Boffo decide di lasciare la direzione del quotidiano. La delegittimazione, compiuta mischiando notizie vere e false, era compiuta. In seguito arriveranno le scuse, a dir poco tardive, di Feltri, che ammetterà l’infondatezza della notizia delle minacce dovute alla volontà di intimidire la moglie dell’amante di Boffo, definito ingiustamente un noto omosessuale attenzionato dalla polizia.

In poche parole, quindi, il “metodo Boffo” consiste nello sputtanamento di coloro che attaccano Berlusconi.

La casa di Montecarlo

Di “metodo Boffo” si è parlato in riferimento a un’altra, imponente campagna lanciata dal Giornale: quella ai danni del presidente della Camera Gianfranco Fini. Il Giornale aveva già “minacciato” il “compagno Fini” a causa di alcune sue esternazioni non combacianti con quelle del premier, annunciando la pubblicazione di uno scandalo a luci rosse se non fosse rientrato nei ranghi. E siccome Fini nei ranghi non ci è rientrato, ha preso il via la lunga, interminabile querelle dell’appartamento di Montecarlo.

I fatti: la contessa Anna Maria Colleoni, discendente di un condottiero italiano del 1400 e figlia di un gerarca fascista, non avendo eredi diretti decide di lasciare il suo intero patrimonio (del valore di oltre otto miliardi di lire) ad Alleanza nazionale, di cui era grande simpatizzante. Con la morte della contessa, occorsa nel giugno del 1999, il partito di Fini eredita tutti i suoi beni, compresa la celeberrima casa di Montecarlo. An venderà la casa solo nel 2008 a una società con sede ai Caraibi per 300mila euro. Il Giornale scopre che attualmente la casa è abitata da Giancarlo Tulliani, fratello di Elisabetta, la compagna di Fini. E, comprensibilmente, il quotidiano di Feltri fatica a credere alla casualità, e si pone una serie di interrogativi, compresi l’identità dei compratori della casa e i motivi che spinsero An a rifiutare offerte ben superiori alla cifra per la quale in seguito vendette la casa.

In questa vicenda vi sono in effetti elementi che meritano attenzione e che devono ancora essere chiariti. Ciò che lascia perplessi sono le modalità con cui Il Giornale ha trattato il caso, ossia con decine e decine di prime pagine consecutive dedicate a Fini, indipendentemente da tutto quello che di più rilevante poteva accadere in Italia o nel mondo. Il quotidiano della famiglia Berlusconi ha anche tirato in ballo la causa civile in corso tra la Tulliani e il suo ex compagno, il latitante Luciano Gaucci, che nulla ha a che vedere con questa storia. Insomma, un clamore probabilmente spropositato, o se preferite, una lunga bastonatura ai danni di colui che negli ultimi mesi è diventato il problema numero uno per Silvio Berlusconi. L’accostamento tra il caso Boffo e la casa di Montecarlo viene così da sé.

Il dossier Marcegaglia

Altro giro, altra corsa. L’ultimo episodio che vede protagonista Il Giornale risale allo scorso 7 ottobre e riguarda il dossier – vero o presunto – su Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria.

Il 7 ottobre è la data in cui i carabinieri perquisiscono le redazioni di Milano e Roma del quotidiano e le abitazioni del direttore responsabile Alessandro Sallusti (Feltri nel frattempo è diventato direttore editoriale) e del vicedirettore Nicola Porro. Ma la storia ha inizio a settembre, quando la Marcegaglia parla pubblicamente di “un momento di politica brutta che per mesi ha parlato solo di amanti, cognati e di appartamenti che non interessano a nessuno” e, in un’altra occasione, aggiunge che l’Italia uscirà dalla crisi peggio di altri paesi.

Il 16 settembre, giorno successivo alla prima dichiarazione del numero uno degli industriali, Nicola Porro invia un sms al portavoce della Marcegaglia, Rinaldo Arpisella, intercettato nell’ambito di un’indagine su un traffico di rifiuti, con scritto: “Ciao Rinaldo domani super pezzo giudiziario sugli affaire della family Marcegaglia”. E al telefono rincara la dose: “Spostati i segugi da Montecarlo a Mantova”, la città del presidente di Confindustria. E ancora: “Adesso ci divertiamo, per venti giorni romperemo il cazzo alla Marcegaglia come pochi al mondo”. Arpisella, spaventato, chiama Mauro Crippa, responsabile della comunicazione di Mediaset, che gli consiglia di rivolgersi immediatamente a Confalonieri. Quest’ultimo, avvertito dalla stessa, preoccupata Marcegaglia, chiama Feltri per sistemare il tutto, per poi richiamare la numero uno di Confindustria rassicurandola. Secondo i magistrati, siamo di fronte a un caso di violenza privata, mentre Nicola Porro sostiene che si trattava solo di uno scherzo all’amico Arpisella, di “cazzeggio”, come ha dichiarato durante una, va detto, convincente autodifesa nella trasmissione di Antonello Piroso Niente di personale. Ma sia la Marcegaglia, sia il suo portavoce si sono preoccupati e non poco, temendo una campagna di stampa sul modello Fini (o Boffo) a causa delle esternazioni poco gradite al governo. “Non mi era mai capitato che un quotidiano tentasse di coartare la mia volontà”, dichiara la Marcegaglia ai pm.

L’autodifesa del Giornale

La triade di via Negri, Feltri – Sallusti- Porro, si è difesa sostenendo che nessun dossier è mai stato preparato e non era nemmeno in programma, trattandosi solo di uno scherzo. Anzi, due giorni dopo le perquisizioni Il Giornale pubblica un dossier bluff composto da articoli sulla Marcegaglia pubblicati negli ultimi due anni da altre testate (La Repubblica, L’Espresso, Il Sole 24Ore, Il Fatto Quotidiano, L’Unità, Corriere della sera, La Stampa). Come a dire: i dossier li fanno tutti, il fango lo spargono tutti, non solo noi. Peccato che tra inchieste legate alla cronaca e dossier o campagne contro il “nemico” ci sia una certa differenza. E ancor più diverso – e più grave – è il fatto di minacciare di pubblicare certe notizie “a meno che…”.

Vittorio Feltri, ospite alle Invasioni barbariche – dove in stile Emilio Fede ha storpiato il nome di Arpisella, diventato Apicella – dopo aver ammesso nuovamente le sue colpe per il caso Boffo (forse dopo la minaccia dei vescovi di non concedere più la comunione ad personam al Premier…), ha negato che esista un vero e proprio metodo volto a colpire solo i critici del premier. Feltri si è aggrappato al caso del ministro Scajola, sostenendo di essere stato proprio lui a chiederne le dimissioni. Della serie: visto? Non è vero che attacchiamo solo i nemici del presidente del Consiglio. Peccato che, come spiega dettagliatamente e fonti alla mano il giornale online diretto da Luca Sofri Il Post, la richiesta di dimissioni da parte del Giornale sia arrivata a poche ore dalle effettive dimissioni di Scajola, e quando l’ipotesi era stata già ventilata da più parti.

Certo è che Feltri non può recitare la parte dell’agnellino e stupirsi del fatto che la Marcegaglia si sia spaventata di fronte allo “scherzo” di Porro, “correndo a farsi raccomandare dal padrone”, ossia Confalonieri, per usare le parole del direttore editoriale del Giornale.

Chissà se la presidente di Confindustria ha pensato al trattamento riservato dallo stesso Feltri a un’altra donna divenuta un impiccio per Berlusconi: nientemeno che la moglie Veronica Lario. Siamo nel 2009; le esternazioni di Veronica sulle belle ragazze candidate nelle liste del Pdl e sulle frequentazioni del marito con la giovane Noemi Letizia mettono in cattiva luce Berlusconi. Interviene allora Feltri, a quel tempo direttore di Libero, pubblicando in prima pagina una foto della Lario a seno nudo durante uno spettacolo teatrale del 1980. “Veronica velina ingrata” il titolo sparato in prima pagina. Permettetecelo: davvero di una bassezza sconfortante.

I calzini di Mesiano

Ma il livello più basso è stato raggiunto da un’altra testata. Se Il Giornale vince “per quantità” la gara di manganello, “per qualità” il primo premio va senza dubbio a un servizio dell’ottobre 2009 di Mattino 5, trasmissione della rete ammiraglia di – per restare in tema di conflitto di interessi – Mediaset. Protagonista è Raimondo Mesiano, il magistrato che condannò il gruppo Fininvest a risarcire 750 milioni di euro alla Cir di Carlo De Benedetti. Il servizio lo ritrae mentre passeggia davanti al barbiere: “È impaziente, non riesce a stare fermo, avanti e indietro – dice l’autrice del servizio – lui va avanti e indietro”. Le telecamere di Canale 5 lo seguono fuori dal barbiere; la giornalista, evidentemente salutista, commenta: “Si ferma per accendere l’ennesima sigaretta, come fosse uno spot all’incontrario”. E poi arriva il gran finale, che ormai ha fatto storia: “Prima di uscire dal nostro campo visivo ci regala un’altra perla. Guardatelo seduto su una panchina: camicia, pantalone blu, mocassino bianco e calzino turchese, di quelli che in tribunale non è proprio il caso di sfoggiare”. Un tentativo di sputtanamento basato sul nulla più assoluto.

 Sulla casa di Montecarlo non è ancora stata fatta chiarezza, così come sul dossier Marcegaglia, un caso, quest’ultimo, molto spinoso per i pm, che dovranno accertare se sia stato commesso un reato senza compromettere la sacrosanta libertà di stampa. In ogni caso, il materiale per parlare di un “metodo Boffo”, o – se preferite – di un “metodo Feltri” abbonda. E rimane più che mai attuale il solito, irrisolto problema del conflitto di interessi del presidente del Consiglio. Tanto più che mentre scriviamo è ancora fresca la notizia di un appuntato della Guardia di Finanza che, attraverso una serie di accessi abusivi agli archivi informatici delle Fiamme gialle, spiava redditi e situazione patrimoniale di personaggi noti non proprio amici del premier, tra i quali Di Pietro, De Magistris, Travaglio, Beppe Grillo, il giudice Mesiano, la escort Patrizia D’Addario. Informazioni riservate che sono poi state girate anche a un giornalista del settimanale Panorama, anch’esso di proprietà della famiglia Berlusconi.

Forse potrebbe interessarti:

Facebook comments:

Un commento »

Lascia un commento!

Aggiungi il tuo commento qui sotto, oppure esegui un trackback dal tuo sito. Puoi anche iscriverti a questi commenti via RSS.

Sii gentile, rimani in argomento. Lo spam non sarà tollerato.

È possibile utilizzare questi tag:
<a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>

Questo sito web supporta i Gravatar. Per ottenere il proprio globally-recognized-avatar, registra un account presso Gravatar.