La traccia dell’angelo, l’ultimo libro di Stefano Benni
”L’unico modo per non temere la morte è non pensarla e non crederle. Voltarle le spalle, anche se lei è ovunque, e non puoi voltare le spalle a ciò che è ovunque. Puoi voltare le spalle al deserto? Uno dei misteri della morte è proprio questa nostra follia: tentare di non temerla”. I lettori del lupo si mettano l’anima in pace, La traccia dell’angelo (Sellerio, pp 103, € 11) non fa ridere, ma riflettere. Sulla vita, sulla morte, su quello che c’è in mezzo e quello che potrebbe esserci dopo. Tra la vita e la morte di Morfeo c’è una persiana che decide di cadergli in testa proprio la notte di un Natale “paleozoico precellulare” facendolo addormentare tra le braccia di sé stesso per ben trent’anni. Quando si risveglierà il mondo sarà cambiato, il mestiere che si sceglierà sarà quello dello scrittore che eserciterà in maniera frenetica, nevrotica e logorante fino al primo black out, un normale svenimento che per l’arrogante dottor Poiana sarà il chiaro segno di un’epilessia latente. Morfeo comincerà ad ingurgitare medicine per un male che in realtà non esiste, la commozione celebrale che ha avuto gli ha lasciato solamente una cicatrice sulla testa. Ben più profonda e lacerante sarà la ferità dell’anima, più comunemente detta depressione, che faranno vivere il protagonista in uno stato di angoscia e d’ansia per il quale ingoglierà altre medicine che lo porteranno dritto al ricovero in clinica, affinché si disintossichi. Ma a curarlo ci sarà un angelo e non più le pasticche, sarà costretto a separarsi dal figlio musicista, il principino, che ha sempre amato con lo scopo di evitargli qualsiasi pena e qualsiasi dolore.
La trama di questo romanzo è talmente complessa dal non poter essere del tutto assorbita, il che gli conferisce una dimensione intima, ma d’altronde uno scrittore scrive prima di tutto per sé stesso e il suo punto di vista sulle cose può interessare o meno al resto dell’umana specie. Certo è che il libro spinge il lettore a farsi qualche domanda, soprattutto sul perché Benni abbia deciso di scrivere una favola così nera e se sia autobiografica, visto che Morfeo è un suo collega in carta e glossa. Un altro aspetto da non trascurare è quel luddismo letterario che questa volta si scaglia contro il mercato dei medicinali:”Insieme al petrolio e alle armi, sono il cuore spietato dell’economia”, parole scritte con una rabbia che ragiona e che non viene mai urlata. La vita del protagonista è segnata, come quella dei personaggi al limite del grottesso che incontra mentre percorre la via della guarigione. Traspare anche una certa nostalgia del tempo che passa, dei giochi che hanno fatto parte della sua infanzia e che non hanno nulla a che vedere con i Pokemon e i Gormiti che infestano le camerette dei bambini di oggi. Tanto tempo fa, perfino la neve era più autentica.
La traccia dell’angelo potrà piacervi o meno, ma quello che più importa è che Benni non abbia tradito sé stesso e il suo modo di raccontare le storie. Forse qualcuno si sentirà deluso e quindi curioso di ritrovare il Benni scrittore comico nelle pagine de “Il Bar sotto il mare”, “Pane e tempesta” e “Dottor Niù”, magari le riscoprirà dopo averle completamente dimenticate e sarà un merito di quest’ultimo romanzo che un suo senso dell’ironia in fondo lo possiede ed è quello della sorte, buona o cattiva che sia, dipende dalla traccia dell’angelo. Il lupo perde il pelo, ma non il vizio di stupire.
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