L’aggettivo “staminale” deriva da “stame”: significa “ceppo”, “stipite”, ”origine”. La cellula staminale è  “capace, nel suo processo continuo di replicazione, di dar luogo a una progenie di cellule via via sempre più differenziate e specializzate”. Muovere la ricerca in direzione della sperimentazione su un materiale scientifico di questo tipo ha come obiettivi la salvaguardia della vita umana, la cura di malattie degenerative per le quali non esiste terapia ufficiale, la preservazione della speranza. Questo secondo alcuni. Molti ritengono, invece, che la vita umana non venga salvaguardata ma messa a rischio, che innumerevoli siano stati i casi di aggravamento o indifferenza al farmaco più che di risoluzione, che non sia speranza ma  illusione, quella che i medici regalano ai pazienti. Il dibattito è fervido e rimane aperto, spaziando dal campo della scienza, a quello dell’etica, della politica, della religione. In che modo? Partendo da un punto cruciale: la “nascita della vita”. Sì, perché  i sostenitori di sperimentazioni più efficaci a partire da staminali embrionali portano a sostegno delle proprie convinzioni sia argomenti circa l’utilità della ricerca in questione, che  di natura non esclusivamente scientifica. Stessa cosa per gli innumerevoli studiosi che ritengono maggiore l’efficacia potenziale delle cellule staminali adulte e adulte-riprogrammate, poiché minore, in tal caso, l’intervento del singolo sulla dignità della determinazione umana.

“Credo molto fortemente che sia necessario adottare tutte le possibili opportunità. Le cellule staminali embrionali umane hanno un potenziale enorme. Non abbiamo ancora raggiunto i risultati che vogliamo, ma il potenziale è assolutamente evidente. Non provare in questa direzione, non sondare tutte le possibilità, sarebbe da irresponsabili”, afferma in un’intervista Mario Capecchi, premio Nobel per la Medicina del 2007, e aggiunge “le cellule staminali embrionali di per sé non pongono questioni etiche in quanto non sono embrioni: lavoro solo su cellule staminali embrionali, ma a uno stadio che non le porterà mai a diventare embrioni, e tantomeno degli individui.” Ecco centrato il punto della controversia: in quale momento dell’avvenuta fecondazione si può cominciare a parlare di vita umana? E quanto, ciò asserito, è concesso all’uomo intervenire sulla vita per salvare altre vite? Bisogna porre limiti alla “libertà di ricerca”? Angelo Vescovi, studioso di fama mondiale delle cellule staminali, sostiene che “per quanto la biologia non sia una scienza esatta, la fisica lo è, ed esiste una branca della fisica che è la termodinamica. Qualunque fisico esperto di termodinamica può dire che all’atto della fecondazione c’è una transizione repentina e mostruosa, in termini di quantità d’informazione. Una transizione di quantità e qualità di informazione senza paragoni, che rappresenta l’inizio della vita: si passa da uno stato di totale disordine alla costituzione della prima entità biologica”.

Quesiti che restano sospesi, suscitando il rancore delle famiglie, degli ammalati, di chi crede di meritare almeno una possibilità. Quanto sarebbe soggettivo schierarsi a favore dell’una o dell’altra ideologia e quanto, invece, sarebbe necessaria una scelta etica determinante e universale?  Si pongono troppi interrogativi e poche sono le risposte offerte. Certamente l’Italia è uno dei Paesi in maggiore difficoltà, l’ascendente della Chiesa Cattolica è inevitabile e la fede religiosa rappresenta una delle più alte barriere. Ma ancora domande: barriera all’oltre vuol dire limite coercitivo, claustrofobico entro cui dibattersi e del quale avvertire il peso, o linea gialla a cui attenersi per non incorrere in rischi nocivi a sé e altri?

La Sharia islamica,  compendio delle leggi canoniche, conferisce all’embrione lo status di uomo a partire dal 120esimo giorno di gravidanza, consentendo ricerche su di esso nel periodo antecedente; il Bardo Tardol, conosciuto come Il libro tibetano dei morti i buddista, considera l’embrione non solo un vivente, bensì una persona, rifiutando qualsiasi sperimentazione che possa attentarne la vita. Tutte le Chiese protestanti considerano l’embrione una persona umana potenziale e in evoluzione; gli ebrei considerano la ricerca sugli embrioni legittima a 3 condizioni: se l’embrione è in vitro, cioè extracorporeo alla donna, se ha meno di 40 giorni e se il fine è salvare altre vite umane. Certamente cercare un punto di incontro sulla base della fede appare arduo, la frattura è inevitabile, la bioetica non fa da mediatrice e regna il caos. Il punto però, non riguarda solo le cellule staminali da adoperare, ma anche il sottoporre o meno pazienti a cure non ancora definibili propriamente come tali. Il Vaticano e il Parlamento italiano “sfruttano malati terminali e disabili per creare false speranze di una rapida guarigione”, hanno scritto le testate scientifiche mondiali, “è sbagliato sfruttare la disperazione di disabili e malati terminali e alimentare false speranze di rapide guarigioni. Ed è sbagliato cercare di usare questi pazienti come animali da laboratorio, bypassando le agenzie regolatorie, come il Parlamento italiano sembra voler fare”.

Qui si aprirebbe una nuova disamina sul perché, invece, gli animali dovrebbero essere sottoposti a ricerche e sperimentazioni che pongano a rischio la loro esistenza, ma limitandoci a quest’unico polverone, per il momento, sappiamo che a generarlo è stato il decreto Balduzzi, a sostegno del metodo Stamina, approvato pochi giorni or sono al Senato e poi sottoposto al giudizio della Camera.Un giusto punto di equilibrio «tra le ragioni del cuore e della coscienza e quelle della scienza» è stato trovato, ha dichiarato il Ministro in seguito alle prime conferme ricevute. Pochi l’hanno davvero pensata così, il malcontento regna piuttosto tra istituzioni e ammalati: il decreto autorizza  i pazienti che sono già in trattamento con il metodo Stamina a proseguire le cure presso gli ospedali, ma questi dovranno essere strettamente monitorate nelle loro fasi dalle autorità sanitarie, e non solo. Altri pazienti potranno avere accesso alle cure,  ma soltanto in strutture pubbliche e per un periodo limitato di 18 mesi, attenendosi alle regole delle sperimentazioni e ai protocolli di legge.. Infine, tiene a specificare il ministro della Salute, proprio per escludere «qualsiasi possibilità di intenti speculativi il testo prevede che la metodologia utilizzata non possa servire per ottenere un’autorizzazione alla immissione in commercio».

Ecco, da un lato, quindi milioni di famiglie si riversano nel Pantheon per protestare riguardo ai tempi e le modalità delle terapie. Vogliono di più:  più cure, più certezze, periodi prolungati di sottomissione ai farmaci, più speranza. Dall’altro appare anche limpido il timore del mondo scientifico: creare false speranze tanto nell’opinione pubblica, che potrebbe spingere e condizionare le scelte della politica senza tenere conto delle ragioni della medicina, arrivando a somministrare medicinali costosissimi ma non efficaci a carico del servizio sanitario nazionale, tanto nei soggetti in cura, che creerebbero aspettative difficilmente soddisfabili.

Insomma, l’auspicio di Balduzzi di mettere d’accordo sanità, politica e popolo è ben lungi dal realizzarsi. Quanto è difficile lasciare pazienti nello sconforto di malattie per ora prive di cure accertate per far sì che incalzi il lavoro della ricerca senza pressioni o carichi fiscali complicati da gestire, quanto è possibile ottimizzare tempi, denaro, speranze in una società che troppo difficilmente riesce a preservarsi da corruzione e dai privilegi di casta? La questione è lasciata in sospeso, purtroppo.

Noi ci auguriamo che a essere sempre preservata sia la dignità umana di ogni essere vivente, che a crearsi non siano solo illusioni, che alimentano comunque una fiducia nella guarigione che supporta, almeno moralmente, ammalati e familiari, ma anche che la giustizia sociale sia sempre la linea guida di ogni decisione etica, scientifica e politica.“Bisogna sottostare al senso di responsabilità e rispetto della vita umana”, scrive il biologo Oreste Arriconi e sottoscriviamo tutti noi oggi tutti noi italiani.

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