Impressioni dall’europunk di Parigi: una prospettiva postmoderna
Il percorso in cui si è immersi quando si accede alla Cité de la Musique di Parigi è segnato dal legame inscindibile tra arte e contestazione. Cosa c’è di più affine, infatti, tra musica e politica? Entrambi sono atti creativi per eccellenza, per lo meno se la politica non viene intesa in senso classico ma, e si tratta di una conquista data per acquisita dalla filosofia politica contemporanea, come quella forza che rimette in discussione le istituzioni esistenti grazie alla sua illimitata capacità di interrogarsi. Nel caso del punk, all’attività creativa si addice perfettamente l’attributo di psicosi: i musicisti mettono in scena ciò che per la “società bene” è nient’altro che un delirio. Ma è proprio il delirio, secondo Piera Aulagnier in “La violenza dell’interpretazione” che implica un richiamo dell’immaginazione e quindi il tentativo di realizzare un mondo che rompe con il conosciuto.
L’oggetto dell’evento culturale è appunto il rapporto mutuale tra fenomeno musicale e contesto storico-politico che si sviluppa e si trasforma dagli anni 60 agli 80. Poi, improvvisamente, la mostrasi interrompe in modo brusco e lascia sospesi, come chi sull’orlo di un baratro si guarda indietro alla ricerca disperata di risposte. Il punk generava vibrazioni che facevano tremare l’ordine e sembravano provenire da una fonte inesauribile per l’energia che ne fuoriusciva: un luogo arcano da cui tutto poteva essere messo in discussione. Le modalità comunicative erano palesi. Pur con una certa dose di esibizionismo, il messaggio che i gruppi volevano arrivasse era chiaro: no future, do it yourself, anarchy. Dopodiché, il modo per opporsi alla massa silenziosa, sembra suggerire il percorso della Citè de la Musique, prende la forma di una nuova estetica: l’astrattismo.
E’ il trampolino di lancio dell’elettronica, la cui ribellione contro il commerciale rimette in discussione la natura stessa della musica, a scapito dell’arricchimento di contenuti politici precisi. Lo sforzo di rinnovamento estetico è enorme, perché si pretende di estendere i limiti tra suono e rumore, spingendo più in là le barriere della tolleranza. Se consideriamo la musica commerciale come un sistema di interpretazioni dominante che si auto-perpetua nel tempo, l’elettronica è un nuovo sistema contingente di interpretazioni, che nasce con lo sviluppo di vere e proprie nuove categorie musicali. L’ambizione è quella di creare la struttura stessa del suono, quindi di decostruire in senso postmoderno: rimettere in discussione il concetto originale di musica, liberandone nuove potenzialità, precedentemente nascoste nell’inconscio o nel non-detto.
Spesso però, questa volontà di trasformazione interna non si traduce sul piano socio-politico esterno. In altre parole, quello che possiamo criticare all’elettronica, che pur si concepisce a volte come sviluppo del punk, è l’assenza di immaginazione utopica dal punto di vista sociale. Parafrasando Kandisnkij, la vera arte “oltrepassa i limiti nei quali il tempo vorrebbe comprimerla e indica il contenuto futuro”. Lo sguardo sul futuro, però, in questo caso, sembra ancora narcisisticamente piegato su se stesso e poco volto all’emancipazione.
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