La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità
5 Ottobre 2023 – 17:07 | Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.In un metaverso che vede archiviata… Read more

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Storia del Rock. Atto secondo

Scritto da – 4 Ottobre 2010 – 07:46Nessun commento

Chi fosse passato per la fredda e plumbea Liverpool di inizio anni 60, certo non si sarebbe trattenuto più del tempo necessario ad adempiere alle incombenze che ce lo avevano portato. Una città che a parte la enorme cattedrale di inizi 900, poco si presta a velleità di tipo “culturale” tutta presa com’era (e com’è) a facogitare gli enormi traffici fluviali e commerciali che si annodano nel suo ventre. Eppure furono proprio i suoi doks portuali ed i locali underground a fare da grembo alla nuova cultura musicale che di li a poco avrebbe infiammato il mondo intero, con l’Inghilterra a fare da innesco. La stessa Inghilterra che fino al quel momento aveva dato un contributo pressoché irrilevante alla nuova musica rock, limitandosi a distillare poco entusiasmanti intrugli musicali quali lo skiffle, un derivato del dixieland suonato con strumenti poveri, che proprio in quegli anni di fine crisi era il massimo dell’espressione musicale britannica. Ma la svolta era dietro l’angolo. Per l’esattezza quello che incrocia mathew street con withechapel street ,a Liverpool. Qui aveva sede il migliore negozio di dischi della città il  NEMS gestito da un puntiglioso personaggio, tale Brian Epstein. Era una fredda mattina dell’ottobre del 1961 quando Raymond Jones, un giovane operaio appassionato di musica vi si recò per acquistare un 45 giri di un gruppo di cui aveva anche assistito ad uno spettacolo, che si faceva chiamare Beatles o Silver Beatles o Beat brother, a seconda della circostanza. Ma nonostante una accurata ricerca tra i numerosi cataloghi del negozio, di quel gruppo non esisteva nulla, neanche un solo vinile. Mancanza imperdonabile. Con puntiglio tipicamente english, Epstein non si arrese: si fece indicare dal giovane Jones il locale dove il gruppo era ingaggiato,  e ci andò di persona.

 Si trattava di un tugurio sotterraneo scavato alla meno peggio nel sottosuolo il cui nome calzava a pennello: cavern club, a soli duecento metri dal suo negozio, in Mathew street. Quando Epstein ci mise piede quello stesso sabato insieme ad un suo collaboratore, gli allora poco conosciuti beatles si stavao esibendo in mezzo ad una calca di disperati assiepati tutt’attorno. Fu una folgorazione, una di quelle che scrissero la storia del rock.  Reduci da una tournè di quattro mesi ad Amburgo, dove avevano sostituito un gruppo venuto a mancare all’ultimo momento, i quattro ( con Pete Best alla batteria al posto di Ringo Starr) convinsero Epsetein che si, valeva la pena di scommettere su di loro e tentare l’ingaggio. Così il negoziante britannico, improvvisandosi imprenditore,  ottenne una audizione per i suoi Beatles presso la  Decca, la maggiore casa discografica per produzioni giovanili, la quale , con un episodio destinato a finire nel guiness  degli abbagli, rifiuto’ di scritturare quello che sarebbe divenuto il gruppo musicale piu’ famoso del mondo: “ci dispiace ma la vostra musica non ci pare molto attuale. E poi i complessi con chitarre stanno passando di moda.”. In realtà l’epoca dei complessi con chitarre doveva ancora cominciare e scritturare i fab four ci pensò George Martin della Parlophone una etichetta ausiliaria della potente EMI, il quale con un tocco del suo genio e quello di Mary Quant, storica stylist dei fabolous sixties, stravolse l’immagine da teddy boys dei quattro, rivestendoli di tutto punto con giacche attillate e stivaletti di cuoio, sormontate da lungli capelli tagliati a caschetto, dissacrando così i costumi del periodo.  Ha così inizio l’epoca d’oro della swinging London e della  musica beat, della British invasion e degli LP (i 33 giri piu’ capienti dei piccoli 45 ) , della costante lotta tra i mod (modernist) che giravano per la capitale inglese in branchi, a bordo di lambrette ed imbottiti di anfetamine, ed i rockers più legati al rock delle origini, che faranno capo all’altro gruppo leader della diarchia musicale del periodo, i Rolling Stones.  Sarà minuziosamente montata ad arte tutta una finta rivalità tra i due gruppi,  che impersonificavano le due diverse anime della società : quella borghese e conformista e quella ribelle e contestatrice. Pochi sanno che furono proprio i Beatles a regalare agli Stones  “I wanna be your man” la canzone che maggiormente contribuì al loro successo e che  questi ottennero grazie a Gorge Harrison la loro prima audizione alla Decca nel 1963 (quando ormai i Bealtles erano già fenomeno di massa).

Nacquero cosi’ i complessi nell’accezione moderna del termine: non piu’ il solo accompagnamento del cantante-star-leader  che anche nel nome del gruppo doveva essere posto in rilievo (Billy Haley & his comets, Gene Vincent & the blue caps, ecc.), ma una entità unica,un “tutti per uno” che nonostante istrionismi di sorta consacrò un modello di band destinato a durare fino ad oggi. La rivoluzione iniziata in america dal rock, attraversa l’oceano e prosegue adesso in Inghilterra, intrecciandosi con la rivoluzione dei costumi che illuminerà di colore la grigia Londra. Tutta una serie di gruppi emergeranno dai bui anfratti di locali di periferia impossessandosi del palcoscenico musicale: Gli animals di Eric Burdon, Gli Yardbirds di Eric clapton, ed i fragorosi Who che nelle session distruggono chitarre ed amplificatori. Durante una loro esibizione il regista Michelangelo Antonioni catturato dalla devastante esuberanza dei quattro chiederà senza ottenerla, la loro partecipazione al suo celebratissimo quanto noiosissimo Blow Up, il film che ebbe la pretesa di immortalare su pellicola i mitici anni 60, con Jeff Beck degli Yardbirds che ruba la scena della distruzione della chitarra al collega Pete Townshend , in un falso storico clamoroso.

 La fine del beat coincidente con la saturazione della società dei consumi, non significò, come per il rock la scomparsa dei suoi idoli, anzi. Essi con fare camaleontico seppero mutare faccia ed adattarsi alle contingenze musicali del fermento presessantottesco, quelle della sperimentazione. Quando qualcuno volava sul nido dell’acido…

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