La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità
5 Ottobre 2023 – 17:07 | Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.In un metaverso che vede archiviata… Read more

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Informazione, nemesi del Potere

Scritto da – 4 Ottobre 2010 – 07:56Nessun commento

Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. Così comincia l’art. 21 della nostra Costituzione, che sancisce la libertà di stampa. La possibilità di esprimere liberamente le proprie opinioni accompagna la nascita dell’opinione pubblica moderna ed è uno dei fondamenti dello stato democratico. La storia insegna quanto la parola possa risultare incisiva, quanto possa scuotere e risvegliare le coscienze e quanto di conseguenza possa risultare sgradita e pericolosa, tanto da rendere necessaria la censura, il condizionamento economico, la violenza e quant’altro. Moltissimi gli espedienti utilizzati per stroncare quello che nel tempo è andato sempre più configurandosi come il “quarto potere”. Ne abbiamo viste di cose: dalla condanna a chi sosteneva che la terra girasse intorno al sole, all’uccisione, in tempi più recenti, di Anna Politkovskaja, assurta a simbolo della devozione alla libertà. Insomma, cambiano i suonatori, ma la musica è sempre la stessa. Secondo il rapporto “Freedom of the press 2009” di Freedom House, organizzazione non profit statunitense, nel 2008 la libertà di stampa è diminuita in tutto il mondo e paesi come l’Italia hanno visto peggiorare il proprio status, passando dallo stato di “Paesi liberi” a quello di “Paesi parzialmente liberi”. Causa del declassamento sarebbero le forti limitazioni imposte dalla legislazione e la preoccupante concentrazione della proprietà dei media. La possibilità di esprimere il maggior numero di opinioni tra loro diverse dovrebbe essere condizione fondamentale per il corretto funzionamento di un sistema democratico, ma è ciò possibile se il pluralismo viene schiacciato già in partenza? Secondo uno studio del Reporter sens frontière (Rsf), che ha stilato la prima classifica mondiale della libertà di stampa, l’Italia sarebbe al quarantesimo posto, superata da paesi latinoamericani come Ecuador, Uruguay, Paraguay, Cile ed El Salvador e da Stati africani come Benin, Sudafrica e Namibia.
In altri paesi, al contrario, si prendono misure volte alla tutela del pluralismo delle opinioni: negli USA chi ricopre incarichi pubblici vede limitarsi da numerose norme la possibilità di intraprendere cause per diffamazione contro i mezzi di informazione, perché è giusto che in democrazia chi detiene il potere sia sottoposto a un controllo più ampio, ammettendo anche il rischio di sbagliare. Anche in Francia e in Gran Bretagna si prendono provvedimenti in questa direzione, volti rispettivamente a ridimensionare gli spazi televisivi, in modo tale da escludere privilegi e a considerare l’effettiva influenza esercitata presso l’opinione pubblica anche dalle emittenti private.
In tal senso l’Italia, paese in cui l’informazione è di fatto monocorde, rappresenta un’eccezione, nonostante il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi si sia espresso in merito all’assenza della libertà di stampa definendola «Una barzelletta di questa minoranza comunista e cattocomunista, che detiene la proprietà del 90% dei giornali». “La Repubblica”, quotidiano citato in giudizio dal Presidente per diffamazione, combatte da tempo una battaglia per la difesa del diritto dei giornali di informare e dei cittadini di essere informati, affinché l’opinione pubblica non risulti anestetizzata e l’Italia isolata dalla circolazione internazionale delle informazioni.
Esattamente un anno fa, ci fu il discusso caso Report, che per molti rappresentò l’ennesimo colpo alla libertà di informazione. Report è un’originale trasmissione giornalistica la cui caratteristica principale consiste nella oltremodo innovativa forma di realizzazione delle inchieste, le quali vengono condotte e montate a spese degli stessi giornalisti freelance che le producono; il prodotto pronto viene poi direttamente venduto alla Rai. Organizzazione, questa, che permette ai giornalisti di lavorare anche per molto tempo su ogni singola inchiesta e soprattutto garantisce loro una grande libertà: libertà che era stata minacciata e messa in discussione. Sembrava infatti che non sarebbe stata rinnovata la tutela legale della Rai alla trasmissione. I giornalisti, da anni ormai pronti a denunciare la corruzione, l’illegalità e i crimini che affollano il nostro paese, sarebbero stati dunque costretti a provvedere di tasca propria. Quale la ragione di una simile decisione? “La Rai ha manifestato apertamente l’intenzione di togliere a Report la tutela legale e non capisco perché, visto che finora non abbiamo perso una causa” dichiarò la Gabanelli, conduttrice di Report. Ed è vero, perché il programma, che per la sua stessa natura incorre spesso in cause legali, non ne aveva mai persa una. Paolo Ruffini, allora direttore di Rai 3, prima della nomina di Di Bella, espresse la propria solidarietà per la trasmissione e il Partito Socialista lanciò un appello al quale risposero circa trenta avvocati, pronti ad assumere la difesa legale del programma. Nel panorama di un paese in cui di fatto l’informazione è costretta a correre entro due binari sempre più stretti, verso una meta sempre più ineluttabile, Report rappresentava una deviazione evidentemente non più ammissibile. La Rai decise infine di concedere alla trasmissione di Milena Gabanelli la tutela; fu lo stessa giornalista a dichiararlo ai microfoni di Radio, quando si discuteva della manifestazione sulla libertà di stampa alla quale lei stessa aveva aderito.
Rai Tre stava vivendo in quel momento una fase delicata; il cambio di dirigenza destava non poche perplessità, soprattutto riguardo al valore effettivamente riconosciuto a trasmissioni come quella della Gabanelli. In quell’occasione Aldo Grasso, interrogandosi in un articolo sul destino di Rai Tre scrisse: “Ci si chiede poi che fine faranno Giovanni Floris o Fabio Fazio o Serena Dandini. Su Raitre ci sarà visibilità solo per l’one man show come su RaiEducational?”. Domanda che all’apertura di questa nuova stagione televisiva è apparsa quanto mai attuale. A correre dei rischi, quest’anno, è stata “Parla con me”, trasmissione ideata e condotta da Serena Dandini, affiancata dal comico Dario Vergassola. Nella riunione che avrebbe dovuto decidere le sue sorti, non si era infatti raggiunto il numero legale, mancando alla riunione i consiglieri di maggioranza (Verro, Rositani, Gorla, Petroni, Bianchi Clerici). Durante la scorsa stagione, il programma, che ha sempre trattato con arguta ironia scottanti questioni di attualità, ricevette numerose critiche da parte del centro destra e il Presidente del consiglio Silvio Berlusconi lo definì una trasmissione che “si diletta ad avere come unico bersaglio il governo”. Ma giovedì 28 settembre il CdA della Rai, riunitosi a Viale Mazzini, ha finalmente approvato il contratto con la Fandango Tv per la trasmissione della Dandini, che è partita la sera stessa. Non stupisce che non tiri una bella aria neanche in casa Annozero.
Clima teso dunque a viale Mazzini e ancor di più tra i giornalisti che non accettano bavagli all’informazione e non gradiscono i tentativi di depotenziamento della libertà di espressione che il governo sembra portare avanti. Dal sindacato unitario dei giornalisti del Lazio, l’Associazione di Stampa Romana, già lo scorso anno erano giunte voci di protesta e tentativi di reazione.
Ad essere messa in pericolo non è soltanto la libertà di comunicare, ma la democrazia stessa, di cui la possibilità di esprimersi senza condizionamenti costituisce un irrinunciabile pilastro. E chissà se l’ostinata perseveranza nella difesa di un diritto inalienabile come questo riuscirà ad abbattere anche gli ostacoli più duri. Gutta cavat lapidem, la goccia scava la pietra.

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