La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità
5 Ottobre 2023 – 17:07 | Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.In un metaverso che vede archiviata… Read more

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Democrazia, la partecipazione come soluzione all’involuzione autoritaria

Scritto da – 7 Settembre 2010 – 08:40Nessun commento

Non sembra possibile, ma tra democrazia e autoritarismo c’è davvero un filo tanto sottile quanto debole, pronto a rompersi da un momento all’altro, per una causa o un’altra, in un momento non necessariamente definito ma sicuramente prevedibile. Gli eventi che si susseguono e le reazioni ad esse possono dare un contributo alla definizione di un certo mutamento nei rapporti di forza, politici ed economici e darci un quadro futuro abbastanza ipotizzabile. Orizzonte Universitario più volte ne ha parlato, ma le cose cambiano velocemente e nessuno può permettersi di abbassare la guardia, come la migliore tradizione di vigilanza democratica vuole e insegna. Una delle cose che abbiamo appurato è che la democrazia non è un impianto standard, fisso o immutabile e le sue qualità sono in continua evoluzione o in drammatica involuzione. Stando alle definizioni classiche, «il metodo democratico è lo strumento istituzionale per giungere a decisioni politiche, in base al quale singoli cittadini ottengono il potere di decidere», ovvero un sistema basato sulla pura e semplice rappresentanza. Detto in soldoni: i cittadini votano per dare a qualcuno il potere di rappresentarli nelle istituzioni. Molto spesso (o quasi sempre) le migliori democrazie sulla carta diventano le peggiori oligarchie nei fatti, in modo più o meno svelato, a seconda del periodo storico e a seconda dell’area geografica. Possiamo avere diverse democrazie da Paese a Paese: consociativa in Olanda, depoliticizzata negli Stati Uniti, centripeta in Inghilterra o centrifuga in Italia. Centrifuga nel senso che nel nostro Paese, èlite conflittuali e divisioni sociali profonde hanno dato vita ad un sistema politico eterogeneo.  Ed è forse questa eterogeneità che può essere la valvola di sfogo per l’involuzione o l’evoluzione della nostra democrazia ammaccata.

Ma se nel nostro Paese la democrazia esiste sulla carta, il nostro sistema può definirsi democratico nei fatti? Se un turista atterrasse domani in Italia direbbe sicuramente di sì: penserebbe che ci sono elezioni libere, appurerebbe il fatto che ci sono più partiti e che ci sono diverse fonti di informazione. Questo perché noi italiani siamo bravissimi a vendere fumo per arrosto e, forse, siamo anche bravissimi a comprarlo, il fumo, pensando di poterci poi infilzare la forchetta. Ragionando sugli elementi minimi della democrazia – elezioni, partiti, informazione – scopriremmo una realtà molto diversa.

I tre elementi della democrazia

La Costituzione italiana, la legge suprema della Repubblica, disegna i confini nei quali l’agire umano è permesso e le norme principali che danno sostegno a tutte le altre norme (leggi ordinarie e regolamenti). Una delle leggi importanti, ma poste al di sotto alla Costituzione è la legge elettorale. La nostra, e non è un caso,  non permette ai cittadini di scegliere i propri rappresentanti, poiché le liste vengono decise e riempite dagli organi di partito, elargendo incentivi a chi sta zitto e punendo le minoranze interne. Spesso i candidati vengono catapultati dall’alto secondo schemi segreti che i cittadini non possono o non vogliono comprendere. Vengono spesso candidate personalità che con la politica hanno poco a che fare (veline, astronauti, imprenditori) e i cittadini, ormai sempre più spesso, appongono una croce senza esprimere la preferenza, come spinti da un’inerzia al voto che qualcuno vorrebbe cancellare pian piano. Non possiamo nasconderci il fatto che le elezioni sono ormai diventate uno spot ripetitivo, dove tutti aspirano al bene collettivo, dove promettono di ricucire l’Italia o di volere un’altra Italia (ogni riferimento è puramente casuale), ma si lasciano raggirare facilmente dai potentati cattolico e mafioso. Il candidato che promette di stare buono e fare gli interessi della scenografia retro-politica sarà eletto, quello che decide di dire la propria opinione viene tacciato di ideologismo e dunque allontanato.

Anche il secondo elemento, la presenza di più partiti, rischia di essere snaturato: ormai i partiti si assomigliano quasi tutti (almeno quelli del panorama parlamentare), poichè i poteri forti esterni sono gli stessi per tutti e influenzano, modellano, plasmano i gruppi politici a loro immagine e somiglianza, pena la decurtazione dei fondi per le campagne elettorali (legalmente permessi in Italia) e della pubblicità sui giornali di partito, rischiando oltretutto la cacciata dai corridoi privilegiati della nuova “Propaganda Due”. In tutto questo, un ruolo fondamentale lo svolge la televisione pubblica e privata che indirizza, secondo accordi economici tra imprenditori, Chiesa e Stato, il voto degli italiani, accentuando l’attenzione su un candidato piuttosto che su un altro, spesso senza contropartita, anche nelle cosiddette “primarie”  interne ai partiti. Qualcuno si sarebbe immaginato un Ignazio Marino segretario del Partito Democratico?

E qui ci addentriamo nel terzo elemento: l’informazione. Senza approfondire la questione del cosiddetto conflitto di interessi, sarebbe meglio soffermarci sulla libertà di informazione, soprattutto televisiva, degli ultimi quindici anni. Eliminazione dei fondi ai giornali di cooperativa (non di partito), soppressioni delle trasmissioni scomode o loro slittamento in seconda serata (se non terza), mobbing ai giornalisti non allineati e successivo allontanamento dalla professione, prime bozze del controllo dell’informazione di internet e via scorrendo. Tutto farcito dall’ultima trovata del Governuccio, il quale maschera decine di provvedimenti attraverso la “questione delle questioni“: le intercettazioni. Questa legge non permetterà che i casi come quello del Ministro Scajola vengano alla luce, minacciando i giornalisti e gli editori di multe salatissime.

Il risultato è presto fatto: nessuna reale rappresentanza, nessun partito alternativo all’altro, nessuna informazione libera. Sarebbe il caso di pensarci un po’ su, ma subito risponderemmo alla domanda iniziale con un secco no: la democrazia in Italia non è una democrazia. E’ un’oligarchia di notabili, scelti dai poteri forti del nostro Paese. Forse è il sistema ideale perché il sistema venga preservato. Toqueville diceva che la società democratica che si andava profilando negli Stati Uniti (dalla quale l’Italia pensa di copiare il copiabile) non si conciliava davvero con il principio della libertà. La democrazia formale non si rispecchia sempre (o mai) nella democrazia sostanziale, reale, concreta, dei fatti. Significa che le società democratiche, pur non avendo caratteri totalitari, ne possono conservare i germi, nella struttura organizzativa o nelle consuetudini quotidiane. Se il governo spodesta il Parlamento (più della metà dei provvedimenti in Italia vengono decisi dal Governo e non dal Parlemento) il passo verso l’autoritarismo è davvero breve.

Da consumatori a cittadini attivi

“Se questo è il nodo, mentre nel passato abbiamo cercato di scioglierlo, adesso mi sembra sia venuto il momento di tagliarlo“. Con queste parole Mario Tronti, filosofo italiano, arriva al dunque di una questione aperta da decenni: se la democrazia non è il meglio del peggio ed è l’unica cosa che c’è, allora va cambiata, riformata, rivoluzionata.  Ma per fare questo va tagliato un altro legame che lega l’essere cittadino all’essere consumatore. Significa ristabilire un coinvolgimento di idee nella politica italiana e svestire i partiti dell’abito dell’imprenditori elettorali e significa invitare gli elettori a votare le idee, i contenuti, non il sorriso di un candidato o l’appariscenza di un simbolo di partito. L’elettore oggi è un pubblico omogeneo (o quasi) che vota con la stessa leggerezza con cui cambia canale alla televisione, con la stessa facilità che lo porta a comprare una marca diversa di scarpe. Oggi l’elettore è un consumatore di un prodotto che è un partito, quello meglio esposto, meglio pubblicizzato, quello che appare di più. Se si spezzasse questo legame, se l’elettore tornasse ad essere tale, allora avremmo fatto il cinquanta per cento del lavoro. Ciò è possibile solo attraverso una reale liberalizzazione dell’informazione, l’abolizione dell’albo dei giornalisti, la riduzione dei vincoli burocratici per fondare testate giornalistiche. Tutto sempre nell’alveo della civiltà e della legge del buon senso. Solo se salviamo l’informazione potrà esserci reale democrazia e meno oligarchia e per salvare l’informazione serve la partecipazione di chi oggi comprende e appoggia un processo di cambiamento sistematico. L’obiettivo è trasformare l’oligarchia in democrazia rappresentativa reale con forti elementi di partecipazione diretta, evitando il pericolo dell’autoritarismo.

Democrazia diretta

Le forme di democrazia diretta in Italia sono del tutto marginali, come ad esempio l’utilizzo degli strumenti di democrazia diretta (referendum e iniziative popolari). Incentivare anche l’utilizzo territoriale (regionale e locale) della democrazia diretta, inserito nel macro-sistema della democrazia rappresentativa, significa iniziare un percorso di rinnovamento della politica dal basso, contro il conflitto di interessi e la corruzione, soprattutto per ciò che concerne gli enti locali, magari lasciando alla rappresentatività gli interessi strategici e tecnici. Chi ha la possibilità di corrompere decine o centinaia di migliaia di elettori? Questi ultimi approverebbero l’aumento dello stipendio per i governanti locali? Farebbero costruire un inceneritore oppure approverebbero nuove forme di risparmio energetico? La democrazia diretta è una forma di partecipazione attiva e responsabile che incentiverebbe la costruzione di identità civiche lungimiranti e innovatrici.

Il futuro della democrazia italiana è la partecipazione

Lo svilimento della democrazia, passato attraverso lo svuotamento dei tre elementi minimi, porta parallelamente a trasformazioni culturali tali che il senso stesso dell’autorità viene a mancare. Questo sarebbe negativo se l’autorità fosse garante del diritto, ma quando è garante di un’oligarchia preposta a salvaguardare gli interessi dei potenti, allora le sfumature tra bene e male si fanno diverse. I mutamenti economico-sociali che tutto l’Occidente sta vivendo in questa profondissima crisi procedono nella direzione di allontanare i cittadini dalla politica classica e di avvicinarli alla politica di strada, informale ed attiva. Forse la partecipazione è l’unico strumento che il popolo ha per esprimere ed imprimere idee e azioni nel panorama politico nazionale e locale.  La più o meno partecipazione del popolo diventa un segnale da analizzare, da interpretare, da capire e tradurre.  Come a partire dagli anni Settanta si è cominciato ad osservare una rapida crescita di nuove forme di partecipazione politica, spesso violente, ma anche pacifiste; un fermento giovanile che è stato trauma e progresso al tempo stesso è stato il sintomo di cambiamento, a volte positivo, che forse rivediamo oggi. Ci prepariamo probabilmente ad una nuova accelerazione dal basso del movimento giovanile e di protesta che potrebbe riprendere spazi mediatici per dettare l’agenda collettiva del sistema-Italia, dando l’impulso del cambiamento e di evoluzione alle discussioni, capovolgendo i temi politici dei oggi dettano i pochi che governano.  Forse il futuro sta proprio qui: nella formazione di un movimento sociale democratico  composto da reti di interazione formali e informali, da principi di solidarietà ed equità. Un movimento sociale che chieda di discutere, in modo razionale ed organizzato, dei temi che riguardano tutti e non soltanto una classe privilegiata di potenti o para-potenti. Un movimento identitario e plurale che faccia dei valori materialisti (il lavoro, la casa, l’acqua) le nuove armi della democrazia, per rafforzare anche i valori cosiddetti post-materialisti (libertà di opinione, di pensiero, diritti civili). Perché l’Università non può trasformarsi in un vero centro di discussione giovanile? Perché i giovani, nelle loro città, non cominciano a proporsi alternativa alle politiche spartitorie anti-democratiche? Perché non si ricostruisce, nel movimento, un’interazione tra interessi diversi e una convergenza verso un interesse collettivo e indivisibile?

Se i giovani riescono a compiere soltanto il primo dei tanti passi che bisognerebbe fare, qualcuno potrebbe tremare alla sola idea che qualcuno stia partecipando, si stia informando e stia proponendo. Se si fa questo, forse, la nostra oligarchia potrà essere davvero una democrazia e salvarsi dal baratro dell’autoritarismo.

Adamo Mastrangelo


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