Pompei: viaggio fra le macerie (salvate) più famose al mondo
Ancora Pompei. Per l’ultima volta, ci si augura: nel 2012, infatti, sono stati sbloccati dall’Unione Europea circa 105 milioni di euro per far fronte alle spese di restauro e conservazione del sito soprattutto a seguito del clamoroso crollo della Casa dei Gladiatori datato 06 novembre 2010 che costrinse l’allora ministro Sandro Bondi alle dimissioni, come a dire che si interviene a tutela dei beni culturali solo quando sono già macerie. Le condizioni deplorevoli in cui verte la città sono state denunciate a più riprese: domus il cui terreno sottostante sta franando a causa di infiltrazioni d’acqua (Casa di Giulio Polibio) e domus chiuse da anni al pubblico (Casa dei Vettii) o sotto sequestro (Casa del Moralista) che provocano, giustamente, malcontento in quei 2 milioni e mezzo di turisti l’anno che accedono all’area archeologica per un totale di venti milioni di euro d’incasso evidentemente non impiegato per la manutenzione del sito. Qualcosa, però, si è mosso: l’ex governo Monti ci ha messo la faccia, nominando il super-prefetto Fernando Guida per evitare infiltrazioni della camorra nei fondi stanziati dalla Ue; sono stati avviati, inoltre, i primi lavori del Progetto Grande Pompei che prevede sia l’assunzione di tredici archeologi e nove architetti per la dirigenza dei lavori, sia il consolidamento e restauro architettonico di cinque case: di Sirico, del Marinaio, dei Dioscuri, delle Pareti rosse e del Criptoportico. Non mancano comunque le polemiche: secondo Antonio Irlando, presidente dell’Osservatorio per il patrimonio culturale, “queste scelte non sono frutto di uno studio preliminare approfondito. Si poteva pensare alle criticità della basilica del tempio di Apollo”. Ma almeno un segnale di vita è stato dato.
La seconda parte del piano consiste in un intervento sul fronte idrogeologico e la manutenzione ordinaria delle rovine, mentre l’Antiquarium, museo che conserva i reperti ritrovati nell’antica città, non aprirà al pubblico nonostante se ne parli da almeno trent’anni. La sovrintendente Teresa Elena Cinquantaquattro ha dichiarato che “Pompei è già di per sé un museo e il museo archeologico di Napoli è di fatto il museo di Pompei e dei siti vesuviani […] Se hai già visto dieci statue di un certo periodo e tipologia, cosa conta vederne cento? Importante è che quelle dieci siano contestualizzate e che spieghino bene la città che era Pompei allora”.
Chi scrive ritiene che sia dovere delle autorità rendere fruibile tutto ciò che può essere messo a disposizione del pubblico, purché lo stato conservativo del bene lo permetta; sarà eventualmente il visitatore a scegliere i pezzi sui quali soffermarsi, senza che nessuna “autorità” abbia limitato le sue possibilità di accesso all’arte secondo criteri stabiliti a tavolino, soggettivi e magari non universalmente accettati e validi, come la bellezza o bruttezza di un’opera. Certo è che dalle parole della sovrintendente emerge ancora quell’idea tutta italiana che la cultura sia un peso che uno stato già in crisi è costretto a portare stancamente sulle spalle, non un’occasione di riscatto di un paese che ha una risorsa unica al mondo dalla quale poter ripartire. Non solo Pompei certamente, perché tanti sono i monumenti deturpati e prossimi al degrado: i graffiti che deturpano gli affreschi di San Miniato al Monte a Firenze o la Valle dei Templi ad Agrigento, la Domus Aurea, dove sono state scoperte nel 2010 dodici persone accampate, o le rovine di Selinunte, con i templi di Era e Apollo ormai a pezzi.
Su Pompei qualcuno ha deciso di scommettere: si spera che sia solo il primo passo verso una rinascita dei beni culturali e della società che li ha dimenticati.
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