La ripresa? Senza arte né parte (per ora).
Quante volte abbiamo sentito parlare di ripresa ultimamente? Troppe, penserete, e avete ragione. L’inutile chiacchiericcio sulla ripresa, ha trasformato la parola in un tabù quanto il termine crisi. L’antidoto che diventa un veleno, siamo al paradosso. Tutta questa nuvola di confusione nelle idee per ripartire ha portato nel tempo solo una pioggia di rinvii e idee troppo deboli se non errate talvolta. La (rin)corsa (ad ostacoli) alla ripresa è stata caratterizzata dall’inseguimento di obiettivi ed ideali che non si adattano alle caratteristiche del nostro paese. Si è guardato al futuro con un sguardo poco made in Italy. L’abito, fatto di patto di stabilità e norme anticrisi, cucitoci dai sarti europei, si è dimostrato essere a tratti una camicia di forza; non perché queste norme non fossero necessarie, ma perché le norme di ripresa e crescita che devono (o forse dovrebbero, vista la situazione) accompagnare le misure di cautela economica sono state prese guardando l’orizzonte sbagliato.
Prendere la Germania come esempio di virtuosismo, non è sempre sinonimo di oculata amministrazione: quando si tratta di trovare le risorse per ripartire bisogna necessariamente guardare in casa propria, sforzandosi di trovare le colonne portanti e i traini della nostra economia. Per cui, non essendo più il paese di “santi, poeti e navigatori”, nel fare quest’operazione serve una buona dose di maturità, mista ad un consapevole realismo per trovare le vere forze del paese.
Allo stato attuale, i primi tre comparti che possiamo citare sono: la cucina e il cibo (con EXPO prossimo a portare una grande spinta), il lusso in tutte le sue forme: dall’altra sartoria, alla moda fino alle automobili, e infine l’arte.
Questo comparto, merita più di tutti una riflessione, in quanto ampiamente sottovalutato nel paese con il più alto numero di siti protetti dall’UNESCO.
Con l’arrivo del governo Renzi qualcosa si è mosso: grazie al competente lavoro del ministro Franceschini, una riforma atta a portare interventi di restauro urgentissimi (vedi Pompei), e nata con l’obiettivo di attrarre con diverse misure (sconti, aperture domenicali ed ingressi gratuiti) quante più persone possibili verso il vastissimo numero di siti di culturali sparsi nello stivale. Il lavoro da fare è ancora tanto però, perché le risorse artistiche culturali che nei secoli si sono depositate sembrano non finire mai.
Se il numero di visitatori crescerà nel futuro, resta comunque impietoso il confronto con i maggiori musei nel mondo. Tutto ciò è frutto di una disorganizzazione selvaggia dei musei e delle opere d’arte.
Molto spesso (chi viaggia nelle capitali europee lo capisce bene) mi sono chiesto, visitando luoghi d’arte come il Musée du Louvre o la National Gallery: “ma se tutta quest’arte italiana fosse nel nostro paese? Quanto potremmo incrementare il nostro PIL con il turismo?” finendo amaramente col rispondermi “molto poco”. La verità infatti è che queste opere nel nostro paese sarebbero disgraziatamente sottovalutate, non per malignità certo, ma per incapacità e sciatteria.
I Bronzi di Riace ne sono il perfetto esempio: opere di una tale importanza storico culturale rinchiuse in un museo a Reggio Calabria che, non ce ne vogliano i calabresi, è onestamente fuori dal mondo e poco attrezzata per accogliere il numero di turisti che le opere meriterebbero. La loro posizione li equipara all’enorme tesoro tenuto “a fare la polvere” nei vuoti sotterranei molti musei, lontano dagli occhi dei visitatori. Per cui vista la situazione, è meglio che opere, come la Gioconda, restino fuori dall’Italia a farsi ammirare dagli sguardi meravigliati dalle doti dei nostri compatrioti.
In conclusione se davvero vogliamo rendere la cultura il motore della ripresa, oltre a proseguire sulla strada tracciata da Franceschini, dobbiamo essere molto più cinici nell’operare: l’arte dopotutto, oltre a essere il miglior nutrimento per la nostra anima, è uno dei business più remunerativi di sempre.
Manuel Granata
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