Nei tentacoli dell’Anemone
Il “sistema Anemone” non era uno di quelli messi a punto per vincere al superenalotto. In qualche modo ci somigliava, solo che in una ricevitoria non te lo facevano giocare. Il motivo è semplice: si sapeva sempre prima chi avrebbe vinto.
La fortuna baciava sempre gli stessi: la “cricca”, imprenditori che immancabilmente si aggiudicavano gli appalti per le grandi opere. Per esempio le strutture per i mondiali di nuoto a Roma nel 2009 e per il G8 che nello stesso anno si sarebbe dovuto svolgere alla Maddalena. Ma il meccanismo che, secondo gli inquirenti, ruotava intorno all’imprenditore Diego Anemone sembra essere molto più di una “storia di ordinaria corruzione”. La Procura di Perugia e quella di Firenze stanno cercando di ricostruirne le trame, seguendo i flussi di denaro che questa moderna “Banda Bassotti” ha lasciato, forse peccando di presunzione, come una firma. Infatti, se è vero che l’imprenditore veniva favorito negli appalti, in qualche modo doveva ringraziare chi l’aveva agevolato. E trattandosi di grandi opere probabilmente si sarà trattato di grandi amici. Naturalmente sarà la magistratura a fare chiarezza e, come sempre in questi casi, il condizionale è d’obbligo. L’inchiesta è sulle tracce di soldi e favori che Anemone avrebbe dispensato per garantirsi i lavori. Analizza in questi mesi i rapporti intrattenuti con politici e Protezione Civile, passa al setaccio le posizioni dei protagonisti di questa vicenda, si allarga ad altre Procure (anche quella di Roma) cercando di portare a galla ramificazioni tentacolari.
L’anemone di mare è una specie di polipo gigante con vari tentacoli che riesce a catturare pesci piccoli. Il nostro Anemone, invece, acchiappava solo pesci grandi. Seguendo le sue propaggini si arriva ai vertici della Protezione Civile e ad illustri uomini politici: Bertolaso, Verdini, Lunardi e Scajola. Un altro nome chiave dell’indagine è quello di Angelo Balducci, ex presidente del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici. Sarebbe, secondo gli inquirenti, una pedina fondamentale del sistema: per la sua capacità di procurare contatti importanti, anche con il Vaticano. A questo punto, però, solo i giudici che conducono le indagini possiedono il grimaldello in grado di scardinare la complicata combinazione.
Si può parlare di nuova tangentopoli o, come già si affretta a dire qualcuno, si tratta solo di qualche mela marcia? È solo questione di qualche “mariuolo” (come fu definito Mario Chiesa da Craxi)? Sono solo “biricchini” i personaggi, anche loro legati ad Anemone, che si sfregavano le mani e sghignazzavano la notte del terremoto de L’Aquila? Sì, birichini li ha definiti Silvio Berlusconi, come bimbi viziati che non si accontentano mai dei loro giochi e vogliono sempre prendere quelli degli altri. Verminaio l’ha chiamato Bersani e i vermi, si sa, ingrassano sui morti. Se davvero fossero solo bambini birbantelli, gli si potrebbe raccontare una favola per farli star buoni: sarebbero tanti i personaggi, le figure grottesche non mancherebbero. A cominciare dal famigerato “don Bancomat”, al secolo don Evaldo Biasini, che avrebbe custodito parte del tesoro di Anemone. Il finale della storia lascerebbe tutti a bocca aperta: Alì Babà e i 40 ladroni che vincono le elezioni. Purtroppo c’è poco da scherzare e la fiaba potrebbe rivelarsi realtà. Il polipo gigante, l’anemone di mare, potrebbe essersi agganciato talmente bene ai più importanti tessuti che sarà difficile staccarlo senza che qualcuno si faccia male sul serio.
Se è vero che le inchieste in corso stanno facendo tremare il Palazzo, la Casta, un motivo deve pur esserci. Tangenti e corruzione generalizzata che vedono coinvolti i vertici politici: torna alla mente lo spettro del ’92, il Pio Albergo Trivulzio, i milioni nascosti nelle mutande. Anche se Mario Chiesa farebbe la figura del pivello davanti a Diego Anemone & Co. e sarebbe anche più difficile nascondere nelle mutande una casa o una escort. Tuttavia il pensiero non può non andare alla “Baggina”, da dove Tangentopoli prese il via: un luogo della memoria, il punto di partenza dell’enorme domino che coinvolse la classe politica italiana. Ad una ad una caddero tutte le tessere che avevano costituito quell’enorme edificio di corruzione, la Prima Repubblica fu sciolta (nell’acido) e furono riposte grandi speranze nella seconda. Ma qualcuno comincia a rimpiangere il vecchio sistema: potevano rubare un po’ tutti (secondo la loro importanza in termini di voti).
Il Codice Penale parla di reato di corruzione quando per effetto di un accordo intervenuto fra un pubblico funzionario e un privato, il primo accetta dal secondo, per un atto relativo all’esercizio delle sue attribuzioni, un compenso che non gli sia dovuto. Il reato in questione è vecchio quanto la storia del potere politico. Dall’antica Roma ci giunge la voce di Cicerone con il suo atto di accusa contro Verre, il corrotto governatore della Sicilia, ladro e malversatore. È solo una delle tante testimonianze che la storia in qualche modo si ripete: uomini chiamati a difendere gli interessi della res publica, hanno finito per curare soprattutto quelli personali. Dalla cosa pubblica alla cosa propria, anzi alla casa propria.
Rogito, ergo sum… avrà pensato Claudio Scajola mentre firmava il rogito notarile che di lì a poco l’avrebbe reso proprietario di un appartamento al centro di Roma, a due passi dal Colosseo. Non avrebbe mai immaginato l’ex-ministro che proprio quella carta avrebbe parlato così chiaramente agli investigatori. Ma parlano soprattutto le sorelle Papa (le precedenti proprietarie dell’immobile) che ricordano bene gli 80 assegni circolari con i quali Scajola ha pagato in parte la casa in questione. Un fatto insolito, di cui le sorelle non avevano osato chiedere delucidazioni. Per gli inquirenti sono la prova dello zampino di Anemone. I fatti risalgono al luglio del 2004, quando il politico ligure ricopriva l’incarico di Ministro per l’attuazione del programma. Non ci sono, però, solo le testimonianze delle sorelle ma anche le parole dell’architetto Angelo Zampolini (i personaggi della vicenda sono tanti, così come è tentacolare il sistema). Insomma, il professionista avrebbe preso parte ad alcune operazioni importanti gestite da Anemone (come la vicenda che riguarderebbe Scajola).
Sarebbe interessante sapere se, anche da Ministro per lo sviluppo economico, il navigato politico di Imperia abbia avuto un ruolo negli ingranaggi predisposti e sapientemente oliati dalla “cricca”. Soprattutto sarebbe da capire che tipo di economia abbia contribuito a sviluppare. Del resto, già quando sedeva sulla poltrona del Ministero degli Interni, aveva dato prova di essere l’uomo giusto al posto giusto. Si sarebbe dovuto occupare, in quel periodo, di sicurezza dei cittadini e prevenzione del crimine. Provate a chiedere alle persone che erano giunte per manifestare pacificamente (la maggior parte) a Genova nel luglio del 2001 e che dormivano alla scuola Diaz se si sono sentite abbastanza sicure. Invece, riguardo al giuslavorista Marco Biagi, che chiedeva una scorta (perché da tempo nel mirino delle B.R. che in seguito l’avrebbero ucciso) , il Ministro ebbe a dire che era un rompicoglioni.
Se poi all’estero il nostro Paese gode di una reputazione non proprio positiva, si può sempre dare la colpa a Saviano e a quelli che fanno i film sulla mafia. Si può far sempre finta che tutto vada bene, che la nostra sia la migliore classe politica degli ultimi 150 anni e che i complotti dei giudici comunisti siano sempre in agguato per sovvertire il Governo votato dai cittadini. Ora, se è vero che la fiducia nei confronti dell’esecutivo sta lentamente ma costantemente calando, forse anche i più assuefatti si accorgono che c’è qualcosa di anormale nella politica italiana.
Gli sviluppi delle inchieste sono al momento poco prevedibili, anche se si percepisce che potrebbero portare ad esiti importanti. I primi a cadere nelle reti della giustizia sono stati i corruttori, ma adesso è indispensabile individuare i corrotti. Sembra che il materiale su cui lavorare non manchi, si spera che le Procure possano svolgere le loro indagini serenamente. Soprattutto ci si augura che gli inquirenti non si trovino dinanzi un muro di gomma, quello che in più occasioni le eminenze politiche hanno eretto per proteggere le loro persone da accuse giudiziarie. Infine, ma questa è più un’utopia che una speranza fondata, sarebbe auspicabile, in un Paese democratico come l’Italia, la più ampia trasparenza possibile da parte dei nostri amministratori. È la condizione indispensabile per la perpetuazione del contratto sociale tra Stato e cittadino (basato sulla fiducia), insieme a un sistema di checks and balances e alla vitalità di una stampa libera da bavagli.
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