La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità
5 Ottobre 2023 – 17:07 | Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.In un metaverso che vede archiviata… Read more

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Alla Triennale di Milano, il tempo delle donne e quello del femminismo

Scritto da – 6 Ottobre 2014 – 18:47Nessun commento

Si è conclusa da pochi giorni la manifestazione “Il tempo delle donne”, un progetto promosso dalla Fondazione Corriere della Sera col patrocinio del Comune di Milano ed Expo 2015 che si è svolto tra l’11 settembre e il 2 e il ottobre con più di 100 eventi sparsi per tutta la città e presso la Triennale. Come suggerisce il titolo, si è trattato di una festa con l’intento di raccontarsi e raccontare le donne. Tuttavia, definire “Il tempo delle donne” esclusivamente un evento femminista sarebbe una scelta errata in quanto esso si è posto più come analisi socio-culturale della condizione di un genere, come narrazione e divulgazione di storie di vita, di metamorfosi, di ricerca di un posto saldo e giusto in cui poter finalmente stare nel mondo piuttosto che come un’arrabbiata scesa in piazza. La domanda sorge spontanea: per quale motivo organizzarlo proprio ora? Perché chiamarlo “Il tempo delle donne”, come se proprio adesso fosse giunto un momento che prima non c’è stato? Perché l’aria che tira è aria di cambiamento. Qualcosa d’impalpabile eppure presente, che agita gli animi di chi il femminismo lo teme e che rende felicemente elettrico chi invece questo cambiamento lo aspettava, appunto, da tempo. Come riportato nel manifesto programmatico del Festival, “Il tempo delle donne” è nato per incentivare questo processo di trasformazione, diffondendolo laddove l’ambiente si mostra fertile e pronto ad accogliere qualcosa di nuovo. Tramite un dialogo aperto e sincero, alla ricerca di soluzioni che possano essere messe in pratica, gli ideatori della manifestazione sperano di ottenere almeno uno dei risultati desiderati negli ultimi 60 anni di lotta.

Ma in che modo parlare di cambiamento quando, guardando le statistiche circa la disparità uomo-donna, sembra che l’Italia non stia affatto progredendo? Il fatto è che, nonostante la mole di dati negativi (la nostra nazione si situa al 97esimo posto su 136 per quanto riguarda la partecipazione e le possibilità economiche delle donne), certe questioni, in passato del tutto snobbate, oggi sono discusse e partecipate, vedi il tema della violenza famigliare sulle donne e quello dello stalking, che negli ultimi due anni sono stati portati alla ribalta e a proposito dei quali la maggioranza è stata ampiamente sensibilizzata.

Ad esempio, sul sito del Corriere, il giornalista Beppe Severgnini ha spiegato che la libertà delle donne è da intendersi come possibilità di agire senza doversi per forza uniformare a quella miriade di modelli che la nostra società impone per assomigliare al mito della donna ideale. E, perché no, la libertà di una donna è anche quella di poter avere successo, se lo vuole. “Un’inutile scuola di durezza e di scaltrezza – scrive Severgnini – ha trasformato ragazze felici in donne amareggiate dietro una scrivania, inacidite intorno a un tavolo, incattivite su una tastiera. Come se dovessero dimostrare, ogni volta, qualcosa”.

Quindi, riallacciandoci alla riflessione della sociologa Raewyn Connell in “Questioni di genere”, le donne possono sì affermarsi in ambito lavorativo ma, nel momento in cui questo accade, viene puntualmente chiesto loro di accantonare tutti i modi, i caratteri che le differenziavano dai colleghi uomini, ovvero le si obbliga a managing like a man. Allora una direzione “femminile” sarebbe meno efficace? Bando alle false credenze secondo cui le donne portano certamente umanità altruismo e collaborazione all’interno di un’azienda, la risposta più corretta è la seguente: dipende dalla donna che siede in poltrona, se ci saprà fare avrà successo, altrimenti fallirà.

Cos’altro aggiungere? Non resta che dare qualche cenno sugli incontri e sui protagonisti che hanno reso la rassegna tanto accattivante. Tra le grandi firme: Ilaria D’Amico, Camila Raznovich, Cristiana Capotondi, Paola Cortellesi, Lella Costa, Geppi Cucciari, Bianca Balti. Tra gli appuntamenti: “DONNE E MEDIA, NUOVE ISTRUZIONI PER L’USO” (Marinella Soldi, Barbara Stefanelli, Silvia Toffanin, Sarah Varetto e Aldo Grasso discutono di donne nella tv), “TEMPI “INTERNI E TEMPI SOCIALI: DONNE E TEMPI DI VITA” (il Centro di Ricerca Interuniversitario Culture di Genere ospita un seminario con Sandra Bonfiglioli, Carmen Leccardi, Lea Melandri, Marina Piazza e Francesca Zajczyk), “QUALE PRIMAVERA? RIVOLUZIONI VIOLATE” (Giuliana Sgrena, inviata dal 1988, presenta il suo ultimo libro), “IL PARTIGIANO FRANCA: OMAGGIO A FRANCA RAME”, “DONNE CHE HANNO FATTO LE DONNE” (Le intellettuali più interessanti della cultura milanese si incontrano per raccontarci la vita di donne che hanno lottato per ottenere i diritti di cui adesso beneficiamo. Insieme ad Andrée Ruth Shammah, sono intervenute Sara Bertelà, Marta Comerio, Gianna Coletti, Ivana Monti, Annina Pedrini, Stefania Pepe, Elena Lietti, Lucia Mascino, Lucia Vasini, SIlvia Giulia Mendola, Gabriella Franchini e Lina Sotis, Francesca Zajczyk, Milly Moratti, Cinzia Sasso, Chiara Boni).

P.S. Vorrei invitarvi a dare un’occhiata ai commenti degli utenti che accompagnano l’articolo di presentazione dell’evento di Severgnini. Ne cito solo uno, a mio parere abbastanza emblematico: “Queste femministe vogliono quote rose, e credono che convenga loro cambiare il nome ad un brand diventato ormai simbolo di odio contro gli uomini. Ma sempre femministe rimangono, e l’odio se lo portano dietro”. L’unico odio che trapela, però, è quello di chi digita sulla tastiera del pc. E come ha recentemente affermato anche l’attrice Emma Watson, in qualità di neo-ambasciatrice del settore UN Women delle Nazioni Unite: “Più ho parlato del femminismo e più mi sono resa conto che battersi per i diritti delle donne era diventato sinonimo di odiare gli uomini”.

Più che altro ci si domanda perché ci sia ancora bisogno del femminismo o di qualcosa che, vagamente, lo ricordi.

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