La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità
5 Ottobre 2023 – 17:07 | Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.In un metaverso che vede archiviata… Read more

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Cocaina, interpretare il fenomeno attraverso i volti del consumatore

Scritto da – 30 Settembre 2014 – 16:28Nessun commento

Avevi idea che la cocaina avrebbe conquistato i tuoi pensieri, la tua quotidianità, che si sarebbe portata via i tuoi progetti, il tuo futuro?” domando, cercando il suo sguardo. Il ragazzo davanti a me quello sguardo non l’avrebbe mai restituito durante tutta l’intervista. Scrutava invece il marmo del pavimento, come in cerca di una risposta, di un perché che non trovava. “ Non potevo saperlo, quando inizi non sai niente delle conseguenze, nemmeno il perché lo fai è chiaro. Gli amici, lo sballo, sentirsi meglio, non pensare ai problemi che hai. E’ tutto il contesto. Ma non solo. Non c’è un vero perché. E’ un gesto che ti fa stare meglio in generale. Quando mi sono accorto un anno dopo, più o meno, che mi facevo sempre, non ho pensato di essere un tossico davvero, è passato tempo prima che me ne rendessi conto. Ho dovuto andare in riabilitazione per saperlo, ma non è cambiato niente. Ancora mi faccio questa merda.”

Allora se ti va partiamo dall’inizio, chi è Francesco ?”

“Questa è una bella domanda !cioè chi sono ora o chi ero prima di iniziare a pippare?”

C’è differenza?”

“Si certo! Prima ero un ragazzo normale, neanche uno sfigato, proprio normale, facevo le cose che fanno tutti i ragazzini al liceo, avevo gli amici, la tipa, la famiglia, che anche se pensi di no, andava bene.. non mi è mai mancato nulla se ci penso. Poi ho incontrato certa gente, erano più grandi e facevano quello che pensavo di non poter fare, erano più avanti, già si facevano di cose più pesanti, io stavo ancora alle canne. All’inizio è partita gradualmente, ogni tanto per fare la “roccia” (termine gergale che indica essere più forti più duri più cool, e che allo stesso tempo allude anche alla cocaina, ne è un sinonimo, indica il gesto e la sostanza per come si presenta). Adesso, dopo anni, è diverso, comunque la bamba non posso pensarci come qualcosa che non mi appartiene, che se non ce l’ho sto male davvero. Ma di amici ne ho. Quello che è cambiato è soprattutto con i miei. Dopo essere stato al centro di riabilitazione, il problema è diventato serio. Ora lo sanno tutti. Non sto più con loro, ho iniziato a lavorare e mi pago l’affitto.

Riesci a mantenerti da solo?”

“Ogni tanto mi aiutano con la spesa, i miei intendo. Perché non si fidano a darmi i soldi ovviamente (sorride). Per il resto è difficile, infatti vendo, così arrotondo e posso stare tranquillo e fare le mie cose.”

Vivere da solo ha cambiato qualcosa nel tuo uso della droga?”

“Si dopo il Centro, i miei non mi volevano in casa, e io non volevo rimanere a Varese, quindi sono venuto a Milano, lì ho ripreso più di prima. Perché ero iscritto all’università qua a Milano e inizialmente vivevo con degli amici in affitto, ero più libero di farmi di prima, poi era diventato un casino con l’università che non mi piaceva e sono andato a lavorare e a stare da solo.”

Come è stata la prima volta, quanti anni avevi?”

“ E’ stata per caso, avevo 16 anni più o meno, mi hanno offerto di provarla mentre eravamo a casa di un amico, ero parecchio eccitato all’idea e non ci ho pensato più di tanto. Poi stavo fatto come un drago con uno 0,2. (ride ancora e poi torna serio)”

Quanto tempo è passato prima che provassi di nuovo?”

“Non ricordo. Più li vedevo, più capitava, questi ce l’avevano sempre. Poi a Milano ero già dipendente.. seriamente diciamo. Ho solo dovuto cambiare i contatti.”

E’ stato difficile procurarsela qui, per te un nuovo ambiente?”

“ No, è più semplice, qua gira con più facilità. fuori, dove abitavo prima la cosa era vista peggio, qua è normale.”

“ Quanto compri di solito? Sai da dove viene?”

“ Questo, bè, è ..cioè visto che la vendo ne compro un po’. Ma mica sono un grossista. Io faccio i miei piccoli affari che mi servono per pippare gratis e avere un po’ di soldi extra. E la pago subito, quando arriva lo stipendio, che così evito guai. Capisci? Qua viene da dovunque, ognuno ha i suoi contatti.”

E sul grado di purezza della sostanza ?”

“Trovi tutto, da me è buona! (ride). Quella degli altri non sempre, se prendi dalle piazze è merda. I neri hanno la mano pesante..”

Intendi al taglio?”

“Si, comunque trovi tutto, dipende da chi conosci. Dai grossisti è di qualità, più ti avvicini alla piazza peggio è.”

Quindi la distribuzione e il consumo sul territorio sono abbastanza omogenei? Ci sono dei quartieri della città dove è più presente o più facilmente reperibile?”

“Si è ovunque a Milano, poi ci sono dei quartieri dove si sa che ne trovi di più, perché ci sono i contatti buoni, tutti la usano, tutti ce l’hanno, cioè dall’uomo d’affari al ragazzino del quartiere, quelli come me e chi compra molto di più.”

Qua l’intervista si interrompe nel tentativo di capire la provenienza della sostanza, ossia come funzioni il sistema dal grossista in su. Ma Francesco è restio a parlarne e solo dopo un notevole lavoro di persuasione e rassicurazione riesco a farmi indicare luoghi più specifici e qualche accenno su come la cocaina arrivi in città.

“A nord ci sono delle piazze buone, dove sto io più o meno. E a est di Milano soprattutto. Ma comunque ci sta sempre un bar o un appartamento dove la si tiene.

Poi nella provincia tengono le cose importanti.”

Cioé?”

“Alcuni magazzini”

Perché in provincia?”

“E’ più sicuro, ci sono le protezioni buone e se arriva in treno o in macchina è subito messa al sicuro. Poi da li’..(sorride ancora con un po’ di malinconia)”.

A questo punto pongo la mia ultima domanda a Francesco.

Cos’è per te la coca? Cosa vuoi fare un domani?”

“Dopo non so. Io so adesso cosa faccio e come mi diverto. Continuerò a lavorare sicuramente, magari faccio pure un po’ di carriera di sicuro. Ma non mi faccio troppe domande.

E la coca ?”

“Per me …ora è così, ce l’ho nella mia vita. Capisci? Mi aiuta anche per stare a fare quel che faccio. Capisci? Non è che posso scegliere, è una merda che hai scelto prima…solo vorrei che con i miei andasse a posto. Quella è la cosa che vorrei.. di più.”

Quando io e Francesco ci congediamo sento tutto il peso di questo incontro, improvvisamente, caricarmisi sulle spalle. Qualcosa della vita di questa persona mi rimane dentro, come spesso non accade per le storie che abbiamo tutti modo di sentire attraverso i media. Il motivo è semplice, dietro al fenomeno di abuso c’è un ragazzo, un percorso narrato. Non è più tutto ridotto allo stereotipo del consumatore a cui siamo avvezzi, non è più una storia senza un volto. Allora ci domandiamo: come avviene tutto questo?

La cocaina, come emerge anche dal racconto di Francesco, venticinque anni della provincia di Varese, è trasversale alle generazioni e ai contesti socio-culturali. E’ la dama bianca che accompagna le serate di giovani e adulti, peggio diviene mezzo per affrontare le problematiche quotidiane, fino a costituire la quotidianità stessa. Acquisisce così un ruolo fondamentale nella vita del paese, nella sua economia, anche e soprattutto criminale. Come è possibile questo genere di infiltrazione profonda negli usi e nei costumi? Il fattore della scelta personale è sì decisivo, ma la risposta più pertinente appartiene ad una visione più ampia, eppure così impensabile per della morte in polvere, la cocaina è un prodotto. Un prodotto di consumo, che dunque così bene va ad inserirsi in un contesto consumistico, in una società sviluppatasi in questa direzione da più di un secolo e mezzo. Esiste un fil rouge teso tra il modo di vivere contemporaneo e l’ontologia della sostanza. Essa asseconda la nostra esigenza di funzionamento e l’imperativo funzionalista del mondo moderno. Il sacrificio dell’etica sull’altare dell’efficienza a tutti i costi, della fretta di risolversi e risolvere la complessità della vita, sull’individualismo sfrenato, amplifica ed è presupposto necessario all’abuso di questa sostanza. La perdita del senso del limite confonde il significato reale del gesto, lo alleggerisce del suo peso mortale, lo sdogana agli occhi della coscienza collettiva.

Il business della droga completa infine il quadro della sua diffusione, culturale e territoriale. La possibilità di un prodotto adattabile qualitativamente, dalla piazza all’ufficio, ma sempre produttore di enormi indotti di denaro, stimola la produzione e la distribuzione di questo stupefacente. Lo conferma come un mercato di guadagno, seppur illegale, a cui tutti possono attingere. Alimenta il settore della criminalità di quartiere e organizzata, dove quest’ultima ne detiene il controllo organizzativo. La ramificazione dei canali di acquisto, pusher, grossisti, organizzazioni a delinquere, complica il contrasto a questa industria di morte da parte dello Stato. La lotta delle istituzioni è ardua, poiché coinvolge altri settori di grande complessità, come l’immigrazione, il riciclo dei capitali e i relativi aspetti finanziari.

Non resta, dunque, che concentrarsi sulla prevenzione e la capacità di riscatto sociale che si può offrire a chi ne è dipendente. I centri di disintossicazione, le associazioni sul territorio, le politiche sociali hanno un importanza strategica nella questione cocaina. Sono il vero futuro pulito di un paese che ha un consumatore dipendente ogni mille. L’arma di massima efficacia per un problema endemico. Come il caso di Francesco rende evidente dobbiamo rimetterci all’ascolto, alla comprensione del fenomeno e all’offerta di un alternativa a questo “Impero di Polvere”.

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