Vallanzasca, gli angeli del male.
Giudizio rinviato al 21 Gennaio 2011. Data di uscita nelle sale italiane dell’ultimo film di Michele Placido “Vallanzasca. Gli angeli del male”, presentato fuori concorso alla 67a Mostra d’arte cinematografica di Venezia. Resta agli atti che ancora una volta Placido – regista fomenta le polemiche, questa volta prevedibili, per la sua trasposizione cinematografica del libro “I Fiori del male”, autobiografia del famigerato boss milanese Renato Vallanzasca. Concluso il festival, concluso il dibattito.
Eppure, recuperando i cocci del calderone (cinema-mitopoietico; cinema-espressione d’autore; falso moralismo italiano; istanze Ass. Parenti delle vittime) sarebbe possibile tracciare un sempre attuale e fondamentale piano di riflessioni.
Placido ha dichiarato di aver voluto esplorare i meccanismi psichici che conducono un giovane uomo a scegliere il male e a sacrificare consapevolmente la propria umanità in nome di una personale “etica criminale”. Da narratore esterno, garante delle fonti di documentazione, afferma “La prima vittima di Vallanzasca è Vallanzasca” , annunciando l’impostazione e l’indagine introspettiva tracciate nell’opera. Si scaglia poi contro l’ipocrisia del nostro paese, incapace di confrontarsi con i propri scheletri, sempre troppo incline da un lato ad insabbiare le realtà scomode, dall’altro ad esaltare “le vite dei santi”. A Placido si riconosce il coraggio di far valere il principio che anche il male della vita può essere oggetto di rappresentazione, ma non si perdona l’omissione del rischio che tale operazione, più di altre, possa compromettersi con gli effetti collaterali ontologici dei mass media, ovvero il rimodellamento della verità storica e sociale attraverso i codici della messa in scena. Conferma, da parte sua, un rappresentante della casa di produzione 20th Century Fox, Osvaldo De Santis:“Non ci poniamo il problema Vallanzasca, piuttosto quello di produrre un film da un’ottima sceneggiatura”.
Sulla base di un tacito contratto di finzione, il pubblico scorda che “lo spettacolo” di cui fruisce si ispira alla cronaca quotidiana o alla Storia recente e si lascia trascinare dalla costruzione narratologica, magari da quella codificata di un film di genere, dove è già implicitamente predisposto un certo atteggiamento di visione. Soprattutto se si tratta di un pubblico giovane, sprovvisto di un minimo background storiografico sul contenuto del film, il prodotto mediale stesso diverrà (la prima) fonte di conoscenza e si imprimerà nell’ immaginario culturale, perpetuando gli stessi termini esplicativi, soprattutto emotivi, che l’autore del film ha scelto di evidenziare nella sua libera autorialità. Alcuni commenti sull’anteprima “Vallanzasca. Gli Angeli del male” definiscono il film (fatto ancora salvo il beneficio del dubbio) un action movie pervaso di adrenalina e spettacolarità, incentrato sul protagonista (già nota l’interpretazione di K. Rossi Stuard/Vallanzasca) tralasciando sullo sfondo gli anni di piombo. Dunque, Generi cinematografici e Contestualizzazione.
Se si volessero considerare, quali esempi a prescindere, altri film che nell’ultimo decennio hanno portato sul grande schermo vicende e personaggi criminali della recente storia italiana si noterebbe, con le dovute differenze autoriali, che l’impostazione motrice della narrazione è sempre una “Soggettiva”, la realtà filtrata dal punto di vista di uno o più personaggi principali, orizzonte di senso guidato per lo spettatore ai confini tra comprensione ed empatia. Pertanto, indiscutibile nella sua univocità.
Al dichiarato leitmotiv intimista e sentimentale – la digressione onirica per la brigatista di “Buon giorno notte”(M. Bellocchio, 2003); le rievocazioni delle infanzie negate per i capi della banda della Magliana in “Romanzo criminale”(M. Placido, 2005); il sacrificio d’amore per il Sergio Segio, volto narrante de “La prima linea”(R. De Maria, 2009) – fanno da contraltare immagini di repertorio della cronaca nera anni 70’ (icasticamente le stesse immagini, in verità più abusate che emblematiche) tra le quali dominano i reportage del rapimento di Aldo Moro (1978) e dell’attentato alla stazione di Bologna(1980). Non si tratta solo di “immagini inserto”, raccordo spazio-temporale tra le inquadrature, ma anche dell’uso di una contaminazione mediale per cui i protagonisti ascoltano i Tg (originali registrazioni d’epoca) trasmessi in tv e agiscono sulle note di canzoni di grande successo popolare che hanno segnato il decennio. Escamotage stilistici che se da un lato innescano nello spettatore un meccanismo di nostalgico e vivace riconoscimento, dall’altro falsano la neutralità degli indici di verosimiglianza, perpetuando icone stereotipate. Nel circolo vizioso dei “mass media/interpretazioni di realtà” che citano se stessi per legittimarsi, ci si chiede con quale chiave di lettura potrebbe mai inserirsi la versione cinematografica della vita di Renato Vallanzasca, dal momento che lo stesso Vallanzasca all’apice della propria attività criminale fu oggetto di un intenso bombardamento mediatico, che non si riduceva solo alla divulgazione dei suoi numerosi reati, arresti ed evasioni dal carcere, ma si estendeva alla costruzione del “personaggio:il bel Renè”, temerario e affascinante, sognato da una schiera di ammiratrici.
Che la vita di Renato Vallanzasca sia un’ “ottima sceneggiatura” per un film è indubbio. Tuttavia, l’impresa di Michele Placido di misurarsi con il lato oscuro della storia italiana più recente, potrebbe essere oggetto di discussione proprio in termini di rilettura “umana”, vista la scelta di una cornice d’azione/gangster, il cui corollario pop saranno le musiche di una delle band del momento, i Negramaro.
Con riferimento agli studi sui generi cinematografici dell’accademico Rick Altman, è possibile affermare che nell’ amatore del genere gangster si inneschi il meccanismo della “Soggettività divisa”, secondo la quale nel contesto finzionale prevarrà sempre il piacere contro-culturale, quindi catartico, di trasgressione impunita della legge, per quanto appartenente ad una comunità che condanna il crimine stesso. Pertanto, potrebbe essere plausibile che nel meccanismo cinematografico indotto di parteggiare per il protagonista, in questo caso amplificato dall’incarnazione di pulsioni illecite, la restituzione dell’ “Humanitas” del personaggio – Vallanzasca, prioritaria nelle intenzioni di Placido, possa risultarne al contrario oscurata e viziata.
Al di là di ciò che potrà sempre rivelarsi un capolavoro o una mera operazione commerciale, torna necessario ricordare la lezione fornitaci dal regista-Maestro Francesco Rosi su un autentico cinema d’inchiesta, quanto mai opportuno ai nostri tempi, non solo per riportare all’attenzione i tabù della storia italiana, di cui gli anni 70’ sono un esempio lampante, ma anche e soprattutto quale termine di raffronto se si considera l’opera di Rosi “Salvatore Giuliano”(1962). Appunto la ricostruzione della vita di un “nemico pubblico”. Programmaticamente Rosi evita la centralità del personaggio partendo non a caso dalla sua morte e non mostrandolo mai direttamente, ma lasciando che a gettar luce sui lati più controversi (collusione tra Governo e mafia) sia l’indagine neutra di alcuni giornalisti. La rievocazione di ben tre livelli temporali, segnalati allo spettatore dall’uso di una congeniata fotografia, le riprese di campi lunghi in cui muovere folle di gente, i pochi protagonisti mai in primo piano, resero l’opera “Un film sulla Sicilia del secondo dopoguerra, più che sul bandito Giuliano”. Ponderazione di finzione e riflessione quanto basta per spronare, piuttosto che “avvincere”, le coscienze del pubblico.
Forse è questo che ci si aspetterebbe ancora oggi dal cinema, mezzo anticonformista di lettura della realtà! Quale utilità sociale dovrebbe mai avere, la costruzione di un personaggio cinematografico o televisivo, pur con nome e cognome autentici (la fiction su Totò Riina su tutte), a fronte di una mancata contestualizzazione critica dei corrispondenti uomini reali? Giudizio rinviato in data da definirsi.
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