De Magistris, il momento dei fatti
Luigi De Magistris ha stravinto le elezioni amministrative a Napoli. Congratulazioni. Adesso però Gigino deve mettere al bando le chiacchiere e rimboccarsi le maniche. A Napoli c’è un fottio di lavoro da svolgere e le manfrine in salsa demagogica, fisiologiche nelle campagne elettorali, sono finite. Devo essere sincero: non vorrei mettermi nei panni di De Magistris. Per cambiare una città come Napoli, e dunque sradicare le sue illegalità diffuse, ci vorrebbe l’opera del divino. Un miracolo. Qualunque tizio dotato di buon senso sa bene che per migliorare le condizioni di quelle lande bisognerebbe sradicare l’immondezzaio. Alt, non mi riferisco solo alla monnezza vera e propria, che imperversa per le strade. La monnezza nauseabonda è solo una grave conseguenza di un dramma più complesso: già, la camorra. Un cancro, la causa di tutti i mali. Se vuol cercare di debellare una metastasi grossa come una casa, Gigino non può pensare di somministrare al degente un’innocua aspirina. Deve operare e pure d’urgenza. Lo sa anche lui. Deve usare le maniere forti, a furia di scontentare qualcuno. La gente lì non esce di casa perché ha terrore delle pallottole che scorrazzano in lungo e in largo. Gli imprenditori e i commercianti sono intimiditi dalle estorsioni che tediano le loro attività e disincentivano la crescita e gli investimenti nell’economia pulita. Le ruberie, gli abusi edilizi, i legami corruttivi: uno sporco carnevale.
Gigino, a Napoli, deve utilizzare il pugno di ferro e non recitare la parte del cantastorie smanceroso, figura tanto cara ai sinistroidi, non affrontando di petto i drammi reali; sennò buonanotte. Campa cavallo. Se vuol contrastare la mafia militare dovrebbe sguinzagliare l’esercito, e aumentare la presenza delle forze dell’ordine. Sarà poi la Magistratura a dettar giustizia e a sbattere in galera chi di dovere. Certo, nella mafia non esiste solo il braccio armato. Ci sono le menti, gli apparati deviati, quelli che agiscono nell’ombra e fanno più male. Per non parlare dei colletti bianchi in giacca e cravatta, profumati ed educati, ma che in realtà puzzano di cadavere, intenti a riciclare il denaro sporco e tramutarlo in pulito. Il riciclaggio per le mafie è un passo essenziale: se non venissero riversati nel pulito circuito economico, gli introiti provenienti dalle attività illegali non servirebbero a un tubo. Perché le mafie non tesaurizzano il denaro; lo investono. Mica sono dei pirla. E la mafia politica? Si innesta nei porcilai, propriamente detti partiti politici. I quali risultano cricche affaristiche, autentiche cinghie di trasmissione attraverso cui, cacicchi, intrallazzatori e prestanome affiliati, cercano di incunearsi nei gangli delle amministrazioni pubbliche per meglio favorire gli interessi delle mafie. Detto questo, siccome specie in quegli ambienti i cacicchi pullulano, De Magistris dovrebbe prendere un’altra decisione temeraria: interrompere i rapporti con i partiti. Affangulo. Che non si faccia condizionare dai porcilai, perché è proprio da lì che proviene l’inquinamento dalla matrice mafiosa. Sarebbe già un bel risultato.
Vi faccio un esempio eloquente: se qualche cacicco, forte del suo successo elettorale, decidesse di bussare alla sua porta per rivendicare assessorati e roba affine, mi aspetterei che Gigino compiesse queste tre operazioni: puntare, mirare e consegnare qualche sonora pedata, possibilmente in bocca, di modo che il cacicco possa sfrecciare al di là dell’entrata principale. La partitocrazia mafiosa si combatte cosi; col rigore. E con le pedate. Mi auguro solo che madre natura gli abbia fornito due maroni di acciaio inox, poiché sarebbe costretto a munirsi di corredo a prova di bombe: la camorra tenterebbe di fargli le cuoia. Insomma, si accomoderebbe pari pari in trincea. Ma per battagliare ad armi pari, i napoletani devono schierarsi al fianco dello Stato.
Andrea Costanza
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