Dimenticando se stessi. La massificazione.
Questo il fenomeno che colpisce la nostra quotidianità, ma che affonda le proprie radici in un periodo più antico: il XIX secolo. Fu, infatti, lo sviluppo dell’ industria a mettere “ all’ angolo ” l’ identità umana, a fagocitare avidamente la personalità degli individui, mentre il carattere dei singoli si spegneva lentamente come si consuma la fiamma di una candela; l’ ombra di un edificio industriale sempre più alto, che oblia alla vista la timida persona a fianco. Cosa è rimasto di questo fenomeno negli anni 2000? Il fatto interessante è che la presenza allora ingombrante dell’ attività produttiva, adesso viene percepita da tutti noi come qualcosa di normale; nessuno si stupisce della serialità dei prodotti industriali che surclassa l’ attività artigianale per definizione maggiormente personale. Anzi, più un oggetto è uguale a quello della massa, più ne siamo lieti, perché risponde a quei canoni che i mass media, pedine fondamentali nell’ argomento massificazione, ci trasmettono. La televisione in particolare ha la capacità di entrare nella nostra vita in modo a dir poco prepotente, di plasmare le nostre menti, inducendoci a modellare l’ esistenza come fossimo i protagonisti di un filmato televisivo qualunque. Niente di più fasullo; il problema è accorgersene. Ogni giorno veniamo bombardati da miliardi di atomi pubblicitari e non, che sotto ogni forma e colore, ci indicano la strada verso una felicità fittizia, omologata per tutti, che in realtà non calza a pennello per nessuno. E così corriamo lungo la strada che porta lentamente ad ingrossare il portafoglio di qualche ignoto magnate dell’ industria; lui solo sembra sogghignare alle nostre spalle, mentre si gode realmente quella vita che la scatoletta magica in salotto pone alla nostra attenzione. E allora perché, se è solo illusione, ci ostiniamo a percorrere questa via? Le motivazioni per le quali si tende ad accettare questa pressione esterna sono molteplici e difficili da ricostruire; di fatto la conclusione alla quale si giunge è che il processo di massificazione sembra inevitabile, qualcosa al quale non possiamo sottrarci. Se non si risponde a determinati canoni, è certo che verremo derisi, qualificati come deboli e degni solo di essere messi ai margini; ma, si sa, le voci fuori dal coro sono pericolose e nessun uomo accetterebbe mai di essere messo fuori dalla “ normalità ” perché, come disse Aristotele, siamo “ animali sociali ”, ovvero necessitiamo di unirci in comunità insieme ad altri individui. Così si cede alla banalità, arrivando a credere che forse la massa abbia ragione. Si tratta, in fin dei conti, di sfidare ciò che ci viene messo davanti agli occhi ogni giorno e contro il quale, se non accettato, dovremmo fare i conti continuamente; bisogna avere coraggio per far brillare la propria stella in cielo, ma non sempre si ha la forza d’ animo per farlo. E allora ci abbandoniamo alla corrente di quegli stereotipi trasmessi in televisione, tanto lontani dalla nostra vera natura, quanto rassicuranti e caldi come un abbraccio: le vacanze in un luogo alla moda, la macchina di tendenza, l’ abbigliamento firmato e così via. Un solo grande nome della letteratura per dimostrare tutto ciò: Marcovaldo, il protagonista dell’ omonimo libro di Italo Calvino. Circa a metà dell’ opera, il personaggio si reca al supermercato con la famiglia e, preso ognuno di loro un carrello, lo riempiono dei prodotti che vedono deposti in altri cestini, solo per il gusto di mostrare che anche loro acquistano i prodotti che tutti prediligono. Ma, costretti dalle ristrettezze economiche a sbarazzarsi di tutto e a uscire dall’ edificio a mani vuote, tornano a casa presi dallo sconforto e schiacciati sotto il peso dell’ apparenza, dimenticandosi di se stessi. E così, mentre siamo sollevati del fatto che il giudizio delle persone non colpisca proprio noi, ma si rivolga verso qualcun altro, perdiamo progressivamente contatto con l’ altro; diventiamo ciechi, senza più avere la capacità di fermarci un attimo per gioire di ciò che possediamo.
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