Celentano non porta le mutandine
Rock economy, in diretta dall’arena di Verona su canale 5: strepitoso per alcuni; non per me, che altro non ho visto se non un rincorrersi di banalità, e di concetti stropicciati dall’usura. Guardando Rock economy sprofondavo sul divano faticando a tenere gli occhi aperti. Anzi, sono certo di aver dormito per tratti interi di programma, dato che più di una volta mi sono svegliato di sobbalzo al ruggito di una pantera che annunciava lo stacco pubblicitario.
L’impressione era quella che le parole del Molleggiato non avessero un fine ben preciso e definito, sembravano procedere quasi per inerzia, determinando un equilibrio instabile, forte di una logica zoppicante. Sono arrivato addirittura a chiedermi se la colpa non fosse mia; se non fossi io a mancare il senso ultimo e profondo delle parole di Celentano; io, incapace di leggere la trama costruita dalle semplici parole dell’Adrianone nazionale. Dopotutto Rock Economy è l’evento televisivo più atteso dell’anno, possibile che si risolva in un ammasso di qualunquismi? Assolutamente si!
Ho riflettuto molto, e sono arrivato alla conclusione che ascoltando i discorsi di Celentano nulla possa sfuggire e tutto è come appare. Non c’è ricercatezza e non c’è intellettualismo. Celentano non banalizza gli argomenti di politica ed economia per essere più chiaro, ma semplicemente perché quando parla di attualità lo fa in maniera mediocre. E se lo show si è rivelato intrigante (lo dimostrano gli ascolti), lo è proprio perché sfrutta l’enorme potenziale del gioco vedo-non vedo. In poche parole: Rock economy è uno show così impegnativo, così dispendioso e che ha creato così tante aspettative e strappato tanti consensi, da spingerci inevitabilmente ad indagare, a frugare tra le pieghe del programma per ritrovare quel filo rosso sfuggitoci, che sappia congiungere la miriade di banalismi sino ad illuminare, d’un tratto, quel percorso che non voleva lasciarsi scoprire.
E così, tutti davanti alla televisione per cercare di capire: di vedere ciò che non appare immediatamente visibile. Dopo tutto il gioco vedo-non vedo in televisione rende, eccome! Facciamo un esempio. Avete presente la fortunata sfilata di Belen Rodriguez sotto i riflettori dell’Ariston nel passato festival di Sanremo? A fare la fortuna di quella comparsa, se ricordate, era stato il fattore mutanda. I telespettatori erano rimasti incantati davanti allo schermo cercando di capire se sotto il variopinto vestito ci fosse una mutandina oppure no. Così, proteso col corpo verso lo schermo per cercare di carpire il significato profondo di ogni parola e di qualsiasi comparsa in Rock Economy, mi sono riscoperto nella stessa posizione in cui mi sforzavo di scorgere l’intimità di Belen.Celentano come Belen allora? Non proprio. Entrambi giocano al gioco del vedo non vedo, ma mentre Belen vuole farci credere che sotto il suo vestito non vi sia una mutandina che invece c’è, Celentano vuole farci credere che sotto i suoi deliri ci sia un senso, che purtroppo non c’è. Che peccato: il contrario sarebbe stato meglio per tutti, ministro Fornero escluso.
Eppure l’Adrianone, quando canta, piace ancora a tanti, forse a tutti. Quanto era piacevole e spensierato quel Celentano che veniva rimproverato dalla Mori, “Non succederà più che torni alle tre, e io mi addormenti senza te”, anni ormai passati, che forse non torneranno. Già, perché le cose belle e semplici, una volta abbandonate, rischiano di non tornare mai più: rimangono solo malinconici ricordi. L’aveva capito anche il ragazzo della via Gluck. E così vedendo Celentano seduto sul palco dell’Arena di Verona intento a parlar di Spread, debito pubblico e potere d’acquisto, mi veniva da chiedergli: “quella tua casa in mezzo al verde, ormai, dove sarà?”
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