Il limite invalicabile del progresso tecnologico
Nelle ultime 48 ore ci siamo resi conto di quanto la nostra realtà sia cambiata e di come potremmo vivere in un futuro incredibilmente prossimo. La prima è uno scatto rubato alla conferenza tenuta da Mark Zuckerberg al Mobile World Congress di Barcellona, in cui si vede il creatore di Facebook avanzare in una platea di giornalisti completamente ignari della sua presenza perché immersi nella “realtà virtuale” regalata dagli Oculus Rift. La seconda è un video rilasciato dalla Boston Dynamics, divisione robotica di Alphabet (Google): il loro ultimo prototipo di robot, Atlas Droid, apre tranquillamente le porte; cammina nella neve, a tratti cedevole, riuscendo a rimanere perfettamente in equilibrio grazie a movimenti che riproducono quelli umani; solleva casse pesanti e riesce a metterle in ordine sugli scaffali. La sequenza più incredibile è lasciata alla fine: il droide cerca di raccogliere uno scatolone da terra ma uno dei progettisti glielo impedisce, spostandolo o respingendo il droide stesso con una mazza da hockey, e questi imperterrito continua a cercare di eseguire la mansione per cui è stato programmato.
Le immagini in quanto tali testimoniano i progressi tecnologici che l’ingegneria e la robotica sono riuscite a conseguire in quello che ci sembra pochissimo tempo, ma è impossibile non soffermarsi a riflettere sulle implicazioni relazionali e sociali che questi sviluppi comportano. Sembra quasi che il futuro sia proiettato sempre più verso una de-umanizzazione della persona e una iper-umanizzazione della realtà artificiale. Se il singolo uomo deve poter vivere quante più esperienze possibili e queste devono essere il più realistiche possibili, i robot, per essere “perfetti”, devono ricreare al meglio i movimenti e gli istinti umani, anche quelli involontari, come piegarsi sulle ginocchia per sollevare un peso o fare leva sulla gamba opposta a quella che perde l’equilibrio mentre camminiamo su un terreno accidentato.
I dilemmi morali si sprecano. Quanto è corretto e positivo che chiunque possa vivere le emozioni di un volo spettacolare su una vallata incontaminata ma per questo rinunci al contatto umano che potrebbe avere con le persone che lo circondano? Quanto è sottile il confine tra realtà virtuale e realtà materiale? Ciò che conta sono solo le sensazioni e le emozioni che viviamo, indipendentemente da come sono suscitate in noi (grazie ad uno schermo o trovandosi materialmente in quel posto)? Qualsiasi estremismo è pura banalizzazione del problema, non si può escludere del tutto la tecnologia dalla nostra vita, che ormai permea qualsiasi momento della quotidianità, né pensare che sia o possa diventare il centro unico della nostra realtà, disattendendo ogni legame emotivo e relazionale con le persone in carne ed ossa che fanno parte della nostra cerchia affettiva. Ma qual è il limite che dobbiamo porci? Quando tutto ciò diventerebbe eccessivo? Non dobbiamo dimenticare che molti strumenti già presenti in commercio sono stati di enorme aiuto per persone con problemi fisici o malattie degenerative, aiutandoli a riconquistarsi quella autonomia che sembrava irrimediabilmente persa. Moltissimi film e romanzi si sono interrogati al riguardo, Asimov tra tutti. Le sue tre leggi della robotica sono state sviluppate in un periodo in cui l’interazione tra uomini e robot faceva appunto parte della fantascienza, non della possibile realtà. Il punto cruciale di tutto il dibattito sta proprio nella parola “strumenti”: i robot, droidi o i mitici “Oculus”, non sono altro che oggetti, governati dalla intelligenza e coscienza umana. Non possono essere quindi usati come capro espiatorio delle nostre debolezze o eccessi, ma sono semplicemente la cartina tornasole di quello che stiamo diventando: una società sempre più orientata al sé, che si rende conto della propria limitatezza, consumata da una parte dalla voglia di poter sperimentare qualsiasi emozione la scuota dal torpore della quotidianità, dall’altra dalla sete di potere che le deriva dal controllo su androidi di sua creazione ma che non possono ambire ad essere ad essere al suo stesso livello per la mancanza di autodeterminazione.
Facebook comments: