La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità
5 Ottobre 2023 – 17:07 | Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.In un metaverso che vede archiviata… Read more

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Viaggio al termine della notte: le illusioni perdute di Céline

Scritto da – 29 Maggio 2013 – 17:29Un commento

Voyage au bout de la nuit fu pubblicato quasi clandestinamente dall’editore francese Denoël, che ne intuì le qualità ma che non ne comprese la portata. Si ritrovò tra le mani un dattiloscritto insolito, un po’ argotico, un po’ volgare, ellittico, esasperante. Stava quasi per rovesciarlo nella pattumiera quando ebbe un leggero fremito, niente più che un senso di rimorso, come se si accorgesse di sbagliare a condannarlo con leggerezza, per cui lo rilesse con più attenzione. Finita la lettura si prese il fastidio di rintracciare l’autore che era rimasto ignoto. Non fu facile trovare il nome di chi gliel’aveva mandato, nel suo ufficio non lo conosceva nessuno e dovette faticare un bel po’ per farsi dare l’indirizzo dall’ufficio postale che aveva apposto il timbro. La persona che risultò dalle sue ricerche aveva un aspetto irritante, due occhi che sembravano di vetro,  un aspetto sciatto, bohémien, mostrava un sorriso obliquo e si passava spesso le mani sulle orecchie da cui diceva di sentire dei fischi che lo facevano impazzire. Parlava di quel che per lui era la guerra e farciva i suoi discorsi di epiteti scandalosi. Nessun francese a quel tempo la pensava come lui. Tutti adoravano la guerra, la patria, la storia, l’uomo.

Ma quel tale, che disse di chiamarsi “Céline”, sì, soltanto Céline, la pensava in un modo tutto suo. La guerra non gli piaceva, gli faceva proprio schifo, e gli faceva schifo pure l’uomo che vi correva come se lo stessero portando al parco giochi. Aveva visto più morti di quanti ne avesse visto un becchino, così tanti che avrebbe potuto stipare due incrociatori di corpi e di carne umana disfatta dai mortai. Per di più si era anche beccato una pallottola nel cranio come ricompensa per aver rischiato la vita. Ma disse che non gli importava, quell’esperienza gli aveva fatto capire il senso della vita, della sua e di quella di tutti quanti. Denoël non riusciva a incrociare il suo sguardo. Quel Céline fissava il cielo grigio fuori dalla finestra e si distraeva facilmente. Finalmente, dopo aver detto tutto quello che pensava sugli orrori della guerra, parlò dell’Africa, di quanto facesse caldo lì e di come fosse facile beccarsi la malaria. Lo sapeva bene! D’altronde assicurò di essere un medico e che di malattie ne capiva, anche se il suo campo di specializzazione era la tubercolosi. Secondo lui se qualcuno desiderava davvero crepare non doveva fare altro che andarsene in Africa e in capo a due mesi sarebbe schiattato che era una bellezza. Anche quell’argomento però lo infastidiva e non ci tornò più sopra.

Tralasciò anche la sua attività di medico, tanto non ci guadagnava niente, la gente di Parigi non lo pagava; lui continuava lo stesso ad esercitare perché disse che si sentiva bene a far finta di credere ancora nella vita. Céline raccontò qualcuna delle sua avventure con le donne. Disse che non ne aveva avute quante ne avrebbe volute, ma che tutto sommato gli bastavano quelle tre o quattro svampite che gli erano capitate tra le braccia. Si era divertito, come tutti, aveva perfino sognato di sposarne qualcuna. Ma poi alla fine era scappato perché si era stancato di giocare a fare il marito. Quella roba non faceva per lui. Non voleva vivere tutta la vita in un posto solo. Voleva girare il mondo, vedere l’America, partecipare come gli altri a quel grandissimo balletto di Pigalle che per lui era la vita degli uomini del suo tempo. Poi scoppiò a ridere e, in una di quelle poche volte in cui si accorse che qualcuno lo stava ascoltando, indicò il libro che quel Denoël teneva davanti a sé sulla scrivania e assicurò che lì aveva raccolto un mucchio di storie piccanti da far venire un’erezione, che si era proprio divertito a scriverlo e che non gli importava se la gente lo avrebbe accettato o meno. Quel che gli importava era che lo aveva scritto e che per lui tutto il resto era follia, solo follia. Quel che la gente faceva era completamente inutile. Secondo quel Céline contavano soltanto la scrittura e la medicina, entrambe erano terapie, le uniche che funzionassero, non come quelle buffonate che gli uomini facevano per dimenticare che tanto prima o poi si doveva andare all’altro mondo.

Il sesso, l’amore, la guerra. Quelli erano passatempi, nient’altro che bei modi piacevoli per ingannarsi. L’editore nel frattempo sfogliava il dattiloscritto. Gli disse che gli parve buono e che intendeva stamparlo. Céline rispose che gli andava bene, che ne facesse pure quello che voleva, tanto ormai a lui non interessava più e uscì dalla porta.

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