La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità
5 Ottobre 2023 – 17:07 | Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.In un metaverso che vede archiviata… Read more

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Le classifiche delle università e la (triste?) realtà italiana

Scritto da – 21 Ottobre 2014 – 12:27Nessun commento

Un ragazzo sta finendo la scuola superiore, e vuole iscriversi all’Università. Non gli dispiacerebbe studiare all’estero, ma prima vorrebbe confrontare le Università italiane con quelle degli altri Paesi. Questo ragazzo normalmente accende il computer e cerca su internet le classifiche internazionali. Le classifiche internazionali delle Università sono tante e compilate con i più svariati criteri, oggetto delle più svariate critiche. Ma su una cosa paiono concordare tutte: mentre i primi posti se li contendono le principali università statunitensi e inglesi, l’Italia tende a comparire sempre solo verso il fondo. Il nostro ipotetico futuro studente universitario interessato a scoprire quale sia la migliore università per lui, tuttavia, potrebbe trovarsi spaesato. Innanzitutto per la grande quantità di classifiche che vengono pubblicate indipendentemente l’una dall’altra. Che cosa si intende, poi, quando si dice che un’Università è migliore di un’altra? Le Università sono realtà enormi, a volte, come nel caso della Statale di Milano, sparpagliate sul territorio di un’intera città. Come si fa a valutare con un unico numero tutto ciò che un’Università rappresenta, con il suo insieme di studenti, professori, burocrazia, infrastrutture?  Qualunque classifica si voglia considerare, i primi posti sono contesi sempre dalle stesse Università (Harvard, Stanford, Berkeley, MIT, Cambridge). L’Academic Ranking of World Universities (ARWU) di Shanghai stila una classifica delle prime 100 Università mondiali. Per le successive non viene invece indicata la posizione precisa; così veniamo a sapere che l’Università di Pisa e la Sapienza di Roma si classificano tra 100° e 150°, ma non è specificato altro. La Statale di Milano e l’Università di Padova compaiono invece tra le prime 200, mentre il Politecnico, la Normale di Pisa, l’Università di Bologna, Firenze e Torino solo tra le prime 300.

C’è da chiedersi, però, se il conteggio dei Nobel e dei premi vinti da ex-studenti dell’Università sia un buon metodo per valutare l’Università in se stessa.

Il Times Higher Education World University Rankings, invece, cerca di basarsi sulla valutazione dell’insegnamento (la voce più importante, ma apparentemente anche la più difficile da quantificare), della ricerca, delle citazioni, dell’innovazione e delle prospettive internazionali. Qui l’Italia compare solo dopo le prime 200 Università, con Trento.

La classifica mondiale delle Università QS (QS World University Ranking, dove QS sta per Quacquarelli Symonds) viene pubblicata ogni anno verso settembre/ottobre e ha sull’Italia un’opinione più o meno simile a quella delle precedenti. Il QSWR viene stilato sulla base di diversi criteri, come la reputazione accademica, le citazioni per facoltà, il numero di studenti internazionali, e la combinazione di queste voci secondo diverse percentuali produce il risultato finale. Anche qui l’Italia non smentisce la propria ben misera figura, presentandosi solo al 188° posto con l’Università di Bologna.

Prendendo in esame solo queste tre classifiche per motivi di spazio, una prima considerazione da fare è che, indipendentemente dalla posizione precisa in cui le nostre Università si trovano, l’Italia è esclusa in modo sistematico dai primi posti e dall’eccellenza universitaria. È anche curioso il fatto che ogni classifica abbia una sua diversa opinione su quale Università italiana debba essere considerata la migliore: dove Pisa e Roma, dove Bologna, dove Trento…

Questa confusione fa venire voglia al nostro aspirante universitario di studiare la questione in modo un po’ più approfondito. Tanto per cominciare, sui siti internet di alcune di queste classifiche è possibile ottenere risultati personalizzati in base all’ambito di studi che interessa, specificando la facoltà particolare di cui si vogliono conoscere le migliori Università.

E qui qualcosa comincia a cambiare.

Se il futuro universitario volesse studiare Lettere, potrebbe raffinare la ricerca e controllare la classifica QS dedicata nello specifico, ad esempio, agli studi umanistici (arts and humanities). Qui l’Alma Mater compare al 57° posto, seguita poco dopo dalla Sapienza di Roma, che si piazza al 65°. Il balzo in avanti rispetto alla desolante classifica generale è significativo. Soprattutto se consideriamo che tra le prime 200 Università giudicate migliori per le facoltà umanistiche compaiono anche Padova al 109° posto, la Statale di Milano al 120°, l’Università di Firenze al 142°, Torino al 153°, Pisa al 156°, e per finire la Federico II di Napoli al 197°. Una presenza decisamente più importante rispetto a quell’unico, triste 188° posto per l’Alma Mater.

Se interessasse, invece, l’ambito dell’ingegneria (Engineering and Technology), la posizione per l’Italia sembra migliorare ulteriormente: stavolta compare al 28° posto con il Politecnico di Milano, torna al 68° con il Politecnico di Torino, al 133° con la Sapienza di Roma e al 169° con Bologna.

Potrebbe restare sempre l’amaro in bocca nel vedere che i primissimi posti rimangono lontani,  è sconfortante doversi sentire contenti per un 28° posto in ambito ingegneristico.

Per quanto i criteri, tutti i criteri, siano opinabili, non possiamo certo illuderci che le nostre Università siano in realtà le migliori del pianeta, sacrificate da classifiche che ci vanno sempre troppo strette. Dobbiamo arrenderci all’evidenza che le nostre Università non rasentano l’eccellenza mondiale. Ma si fa presto a dare la colpa di tutto ciò ai tagli all’istruzione dei vari governi italiani, e a scagliarsi contro la bassa stima della cultura da parte della nostra classe politica.

C’è un altro dato che il QSWUR mette a disposizione per il confronto tra le Università sul suo sito internet, e che merita un’occhiata. La retta media che gli studenti devono pagare ogni anno per frequentare queste prestigiose Università. Anche sotto questo aspetto continua a non esserci paragone tra le Università anglo-statunitensi e quelle italiane, ma a nostro favore.

Se consideriamo la classifica generale (quella QS, ma anche le altre principali classifiche sono concordi sui nomi delle Università da piazzare in vetta, con qualche oscillazione minima), ai primi posti troviamo il Massachusetts Institute of Technology (MIT), che richiede una retta tra i 42000 e i 44000 dollari, la Harvard University ($40000-42000), Cambridge (“solo” 14000-16000 dollari, raddoppiati per gli studenti internazionali), e così via. Chiunque frequenti o abbia frequentato o voglia frequentare un Ateneo italiano si rende conto che il costo dell’università italiana è vertiginosamente inferiore. Gli studi universitari in Italia, o quantomeno quelli pubblici, sono praticamente regalati agli studenti, e se pensiamo ai costi che devono sostenere i nostri colleghi statunitensi o inglesi non possiamo più fare finta di non accorgercene. E vorrà pure dire qualcosa.

Queste Università di eccellenza che non si schiodano dai primi posti in classifica, con queste rette stellari, operano già una selezione in ingresso. Uno studente di ambizioni non altissime e mezzi limitati non cercherà mai di entrare a Harvard, e si accontenterà di un’Università minore. Cosa che non accade nelle Università (pubbliche, almeno) italiane, dove studiano gomito a gomito giovani delle più svariate estrazioni e con le ambizioni più disparate.

Le stesse Università pubbliche americane sono molto penalizzate nelle classifiche, e soprattutto a partire dalla crisi finanziaria del 2007 hanno perso posizioni. Da notare, anche, che la prima università pubblica statunitense a comparire nella classifica generale QS, la University of Michigan (posizione 22) richiede una retta che si attesta sui 16000 dollari, cioè molto più di quello che richiedono le Università pubbliche nostrane.

E allora, le nostre Università non avranno i mezzi per raggiungere i primi posti in graduatoria, ma forse il prezzo potrebbe essere letteralmente troppo alto per molti studenti italiani che non potrebbero più permettersi di studiare. Sarà anche vero che lo Stato italiano non ama investire nella cultura, ma di certo è questo stesso Stato che ci consente di studiare pagando rette irrisorie.

Esaminando poi i dati riportati dall’ANVUR per quanto riguarda i ricercatori del settore pubblico, l’Italia quanto a pubblicazioni pro-capite si classifica sesta, prima di Francia, Germania e Giappone, e ottava quanto al numero di citazioni, dimostrandosi così molto efficiente (di sicuro più di diversi Paesi con cui amiamo confrontarci, quali appunto Francia, Germania e Giappone).

C’è da pensare, dunque, che le Università italiane, coi mezzi a disposizione, facciano del loro meglio, e che i loro (i nostri) risultati non siano da disprezzare. Forse non è un gran male rinunciare a un’eccellenza costruita a discapito di chi non ha i mezzi per studiare.

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