La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità
5 Ottobre 2023 – 17:07 | Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.In un metaverso che vede archiviata… Read more

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Ddl Gelmini, guerra aperta al futuro

Scritto da – 15 Dicembre 2010 – 22:12Nessun commento

14 Dicembre 2010, con 314 voti contro 311 non passa la mozione di sfiducia contro il governo Berlusconi. La maggioranza teoricamente esiste ancora, ma con numeri talmente risicati da costituire praticamente l’ingovernabilità, prolungando l’agonia di questo paese martoriato. Roma è sconvolta dalla guerra civile: scontri tra polizia e manifestanti, auto in fiamme, decine di feriti. Manifestazioni di protesta anche in tutte le principali città italiane. Due settimane fa, il 30 Novembre, è stata approvata alla Camera dei deputati la riforma dell’Università a marchio Gelmini. Rinchiusi in un palazzo Montecitorio allestito ad aula Bunker, circondati da un’armata di poliziotti, in una Roma militarizzata che pareva in attesa di una nuova invasione barbarica (il 30 come oggi), i nostri governanti si sono affrettati a dare il primo definitivo via libera al disegno di legge che sta infiammando la nazione e che tra una settimana sarà Legge dello Stato, tappandosi occhi e orecchie per non sentire le urla di protesta né vedere le strade straripanti di manifestanti. Con un unico obiettivo: mettere tutto a tacere, rimettere la  nostra generazione nel letargo a cui, con anni di impegno, ci hanno condannato.

Per loro sfortuna, non ha funzionato.

La prova di forza non ci ha scoraggiati ma, ulteriore secchiata di sopruso in un vaso già colmo, ha fatto esplodere la nostra rabbia come neppure noi ci saremmo aspettati.

Le occupazioni sono decuplicate, la protesta si è allargata coinvolgendo sempre più realtà, con un suggestivo effetto chain reaction (cit.).

Bari non è stata da meno. Alcuni studenti di ingegneria hanno occupato il Rettorato del Politecnico, su via Amendola, al terzo piano della segreteria studenti. Studenti delle facoltà scientifiche, insieme ad altri di ingegneria, hanno occupato un plesso della Facoltà di Agraria. Nel polo umanistico occupate scienze politiche e lettere e filosofia.

Oggi, in attesa della sfiducia, il livello della protesta è ancora aumentato: un gruppo di studenti, migranti e giovani precari ha occupato i binari della stazione. Un altro corteo, proveniente dal Campus, ha bloccato per circa trenta minuti l’incrocio tra via Amendola e il ponte Padre Pio, uno dei principali di Bari; uno studente è stato lievemente ferito da un automobilista pirata. Si è anche sfiorato lo scontro con le forze dell’ordine che, in tenuta antisommossa, hanno impedito tassativamente l’accesso al Castello Svevo. La tensione si è alzata quando gli studenti in testa al corteo, con le braccia sollevate, hanno tentato di forzare lo sbarramento.

Ne consegue un quadro che non ha precedenti in questa città, tanto più se si indagano i tanto declamati contenuti (a Bari come nel resto d’Italia). Punto focale tra i manifestanti e gli scettici osservatori, come ben esprimono le  frasi precotte dell’occasione: “vorrei vedere se i ragazzi che manifestano sanno per cosa lo fanno”, “è solo un modo per non fare lezione”, “non sanno di essere strumentalizzati dai baroni”, eccetera, fino ai più volgari “vadano a studiare o a corteggiare le ragazze” dei campioni di vacuità. Armi sempre valide per fornirsi un alibi alla troppo incancrenita indifferenza, con aggravante individualismo, che inibisce chi magari in cuor suo amerebbe essere in strada tra le folle ad urlare per la sua dignità; o strumenti utili per screditare chi sacrifica tempo libero, studio, comodità, per lottare per una società più giusta, infangandolo con la melma del qualunquismo.

Lungi dalla retorica, chi partecipa o ha partecipato a manifestazioni di protesta, sa bene come queste, essendo eventi di folla, ereditino tutte le mostruosità di quest’ultima, dall’appiattimento del pensiero individuale al fascismo dei cori (anche se antifascisti), passando per le facili demagogie.

Ma immagino sappia anche come questo movimento sia composto da idee variegate, non manchi di pensiero critico e creatività, e soprattutto sia sorretto da forte consapevolezza. Di dove si è, di cosa si vuole, di come lo si possa ottenere. Gli studenti elaborano documenti dettagliati dei punti della riforma che danneggiano il sistema universitario, come è possibile visionare in rete, ma si spingono anche a stilare proposte alternative di legge, e non si esimono dall’esprimere nero su bianco i principi alla base della società che vorrebbero costruire. Non sarà tutto oro, ma la sostanza non manca.

A questo punto, non partecipare è occasione persa o scelta di campo, nei giorni in cui la nostra generazione sta costruendo il suo futuro e ritrovando la sua identità. Le porte delle occupazioni sono aperte, senza sbarramenti, chiunque può decidere di prenderne parte in qualsiasi momento, non ci sono simboli, bandiere né partiti a costituire un limite attorno agli attivisti. E lo studio? Resta la priorità: gli occupanti passano la maggior parte del tempo a studiare, vedere per credere, nelle aule autogestite o magari sulla scrivania del rettore, con tanto di poltrona in pelle umana.

Se il movimento ha bisogno di rinnovamento, di ricercare nuove forme di protesta, nuove idee, queste necessitano delle capacità di tutti quegli studenti che, non partecipando, lasciano a pochi   l’organizzazione del dissenso. Una domanda sorge spontanea: la responsabilità dei fallimenti è di chi non partecipa o di chi lo fa e magari compie scelte sbagliate?

Era il 1973 quando Fabrizio De Andrè incideva “Canzone del Maggio” (Album “Storia di un Impiegato”), tratta da Chacun de vous est concerné, canto di protesta del Maggio francese, durante la rivoluzione studentesca e operaia del 1968; ma ora come allora, quelle parole bussano alle porte dell’indifferenza, e gridano, sempre più forte, che “Anche se il nostro Maggio (Dicembre?) ha fatto a meno del vostro coraggio… per quanto voi vi crediate assolti, siete per sempre coinvolti”.

Chissà che questa volta, finalmente, le porte si aprano.

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