Dalì a Milano: il paesaggio dei desideri
Salvador Dalì, Il sogno si avvicina”: la mostra curata da Vincenzo Trione è a Palazzo Reale fino al 30 gennaio 2011. Entrerete ordinati ed uscirete confusi. Dalì ne sarebbe contento. “Il mio obiettivo? Sistematizzare la confusione e contribuire all’assoluto discredito del mondo reale”. Salvador Dalì (Figueras, 1904 – Figueras, 1989), è fin da giovanissimo padrone di una straordinaria tecnica pittorica, perfezionata all’Accademia di Belle Arti di Madrid sull’esempio dei classici – una vera ossessione è per lui Velazquez, e i suoi baffi a manubrio sono un esplicito omaggio all’artista barocco -. Sperimentatore di ogni tecnica è regista, fotografo, designer, stilista, divoratore delle ispirazioni più diverse, dalla psicanalisi alla teoria della relatività. Amico fraterno di Garcia Lorca e Luis Bunuel, questa superstar dell’arte non ha certo bisogno di presentazioni. Sappiate solo che, prima ancora che voi mettiate piede in questa mostra, avete già conosciuto Dalì, e non solo dalle riproduzioni sui libri di storia dell’arte o dai quadri appesi nei musei di tutto il mondo. Dalì è ovunque, e dove meno ve lo aspettate, dalle copertine degli album rock, ai fumetti, ai cartoni animati. Sappiate inoltre che Dalì si è già impossessato, prima ancora che voi sapeste chi fosse, di ogni cosa che vi riguardi, dalle vostre pulsioni e libidini nascoste, al vostro passato infantile e archeologico.
Qualche avvertimento però è d’obbligo perchè, una volta entrati, sarete soli con voi stessi e un artista pronto a mettere in crisi ogni vostra certezza e percezione del tempo e dello spazio.
Innanzitutto: la mostra non è un’antologica, riguarda in modo specifico il tema del paesaggio, quello reale della Catalogna e dell’Alto Ampurdàn e quello interiore della memoria e del desiderio. E soprattutto si costruisce , come un teorema matematico a dimostrazione di una tesi curatoriale, in una progressione che non è cronologica, ma puramente, e un po’ artificialmente, tematica. Non spaventatevi, ne vale la pena.
La prima sezione è dedicata al Paesaggio Storico. La sala della Memoria esplora il rapporto di Dalì con il classico, davanti a una Venere di Milo con cassetti. E mentre vi immergete in questo colto confronto, vi accorgete di essere dentro un uovo, voluto nell’allestimento come vero e proprio oggetto a funzionamento simbolico, carico di significati: la perfezione e rinascita, la teoria del molle/rigido associata agli organi sessuali, il cibo. Dalì parla spesso di cannibalismo psichico e di arte commestibile, offrendosi allo spettatore per essere “mangiato”. La sala del Male reca l’impronta profonda della guerra con un iper memento mori, teschi dentro teschi, e la bomba atomica, per lui esteticamente affascinante. Il Paesaggio è, nella seconda sezione, Autobiografico: il metodo paranoico-critico di Dalì associa la creazione artistica al meccanismo creativo dei malati di mente e nell’incontro/scontro con il Surrealismo vuole sottolineare il ruolo attivo dell’artista, che non deve limitarsi a illustrare il sogno e il desiderio, ma stimolarli nello spettatore. E non è facile destreggiarsi tra riferimenti complessi come gli “orologi molli”, allusivi alla teoria della relatività di Einstein e alla ricerca della quarta dimensione, il tempo. Dimensionale è il passaggio dalla stanza dell’Immaginario a quella dei Desideri: lo spettatore può sedersi sul divano-bocca di Mae West e vedersi proiettato sugli schermi televisivi a costruire l’immagine di un volto-salotto surrealista. L’ultima sezione è il Paesaggio dell’Assenza: nelle stanze del Silenzio e del Vuoto nessuna figura umana, la luce è indagatoria e ubiqua, le ombre stranianti. Emerge il “cattolicesimo-agnostico” di Dalì, la paura di giungere alla fine senza gloria. Si intrecciano i riferimenti alla pittura sacra – ma la Passione è senza la croce -, al paesaggio geologico, con citazioni di stringhe matematiche. L’ultima sala, l’Epilogo, è dedicata al cortometraggio “Destino”, summa di tutti i suoi oggetti-ossessione e appropriazione cannibalesca dei meccanismi di comunicazione più incisivi sul nostro immaginario. Dalì lo realizza per Walt Disney, che reputa l’ultimo grande surrealista. Siete abbastanza confusi? Bene. Il confronto è difficile, ma suscitatore di problemi, e quindi utile.
Bello,
invogliante..l’art. mi ha caricata di aspettative ;-))