La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità
5 Ottobre 2023 – 17:07 | Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.In un metaverso che vede archiviata… Read more

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Tehran, contro il regime, le gloriose giornate dei ragazzi iraniani

Scritto da – 8 Settembre 2010 – 21:28Nessun commento

Tehran, 12 giugno 2009. Il popolo iraniano è chiamato alle urne per eleggere il Presidente che guiderà la nazione per i prossimi 4 anni. Tre i principali competitori per la seconda carica più importante del Paese: il presidente uscente Mahmoud Ahmadi Nejad, ultraconservatore; il riformista Mir Hossein Mousavi, riformista sponsorizzato dall’ex presidente più popolare che la Repubblica islamica abbia mai avuto, Ali Akbar  Rafsanjani e il conservatore Mehdi Karrubi, il più vicino all’ayatollah Ali Khamenei, la Guida suprema. Iran, 14 giugno. Le urne danno il loro responso: Ahmadi Nejad surclassa i suoi avversari con uno sconcertante 63% seguito da un misero 34% di Mousavi. Karrubi non arriva al 3%. Eppure qualcosa non quadra: Ahmadi Nejad vince anche nelle roccaforti di Mousavi, in più con percentuali poco comuni nella storia delle elezioni mondiali. Gli osservatori internazionali denunciano brogli. Tehran, 15 giugno. I giovani sostenitori del candidato riformista, nonostante l’interdizione giunta dal Ministero dell’interno, invadono le strade della capitale con al braccio un fazzoletto verde, simbolo dell’Islam e della compagine politica di Mousavi. La polizia carica. I basilij, le milizie rivoluzionarie trasformate in una specie di guardie personali del presidente da Ahmadi Nejad, e i pasdaran, le guardie della rivoluzione, attaccano i manifestanti. Si contano i primi caduti. E così ha inizio l’Onda verde dei giovani iraniani. Un’onda che andata via via montando grazie alle spinte della nazionale di calcio iraniana, scesa in campo con un fazzoletto al braccio. Un’onda che i media mondiali hanno trasmesso fino all’Occidente. Un’onda che, forse, si è infranta contro il non placet di Khamenei.

I giornalisti hanno dovuto abbandonare il paese. Le voci dei dissidenti interni sono state zittite con la prigione. E Mousavi non ha saputo fare molto per aiutare i suoi sostenitori. Continua a fare capolino in qualche corteo, convocare lui stesso manifestazioni, salvo poi nascondersi col timore che la sua condotta possa infastidire l’ayatollah Khamenei. Già, Khomenei. Il personaggio politico più influente del paese che inizialmente era parso poco persuaso dell’esito delle elezioni, ma poi ha preso parola per dare il suo benestare alla rielezione del piccolo “atleta atomico” Ahmadi Nejad. In un primo tempo si era parlato di affidare alle Guardie della Rivoluzione il riconteggio delle schede. Poi l’ayatollah si è schierato a favore di Ahmadi Nejad e così ogni iniziativa contro il presidente eletto è rientrata. Si è parlato di ricontare solo il 10% delle schede, ma anche questa ipotesi resta vaga, a meno di improvvisi stravolgimenti. Ora come ora nulla può davvero minacciare il potere di Ahmadi Nejad.

L’imam Khamenei è succeduto al padre della rivoluzione islamica Khomeini nel 1989. È il vero burattinaio dell’Iran. Ogni decisione del presidente passa prima dalla sua approvazione. Quando Khamenei assunse il suo ruolo, la Rivoluzione islamica compiva il suo decennale. Fu uno stravolgimento improvviso che condusse alla cacciata dello Scià Mohammad Reza Pahlavi, reo di continuare l’obsoleta tradizione dell’assolutismo monarchico. Una volta assunto il potere, l’ayatollah Khomeini indusse un’islamizzazione forzata. In Iran la rivoluzione coincise con l’inserimento della sharia, la legge coranica. Da allora le donne valgono metà degli uomini, è lecita la lapidazione e vige la legge del taglione. Ma paradossalmente la scolarizzazione ha raggiunto soglie mai viste prima, le donne hanno iniziato a svolgere i primi ruoli pubblici, la macchina democratica ha iniziato a muoversi. Pochi mesi dopo la il golpe khomeinista, l’Iraq, spinto da forze d’intelligence occidentali, dichiarò guerra all’Iran. Era il 1980, il mondo era ancora spaccato dalla Guerra fredda. Mentre lo Scià garantiva una certa fedeltà al patto Atlantico, l’ayatollah scelse la via autarchica e si ritrovò sempre più solo. La guerra terminò nel 1988 e l’anno seguente anche Khomeini si spense.

Mahmoud Ahmadi Nejad, all’epoca, era professore di teologia. Nato ad Aradan nel 1956, non ha mai conosciuto l’agiatezza. Suo padre si trasferì a Tehran verso la fine degli anni ’70, l’epoca della grande industrializzazione del paese. Mahmoud è uno studente di teologia, fortemente influenzato dalla dottrina di Ali Shariati, un filosofo che trovò il compromesso tra il marxismo e l’Islam più tradizionalista. Durante la rivoluzione Ahmadi Nejad è considerato un conservatore, nonostante avesse deciso di entrare nelle truppe dei Basilij. Nel 1980 entra nell’esercito e combatte contro l’Iraq. Sono questi gli anni in cui Ahmadi Nejad matura le conoscenze che gli consentono di fregiarsi del pieno appoggio delle gerarchie militari. E il suo curriculum alimenta il mito popolare che fa di lui un uomo che ha votato la sua vita al bene della patria. Quando nel 2005 fu eletto per la prima volta, era un’outsider. In questi quattro anni ha dovuto affrontare –con pessimi risultati- una crisi economica senza precedenti, ha sfidato apertamente l’occidente finanziando Hezbollah e Hamas, ha negato l’Olocausto e ha provveduto al repentino sviluppo di una tecnologia nucleare sufficiente per la costruzione della bomba atomica. Ha contribuito a fare dell’Iran il centro nevralgico del Vicino oriente. Sordo ad ogni concupiscenza, Ahmadi Nejad si è sempre distinto per uno stile di vita sobrio, lontano dai circoli dei classici potenti. Ma ogni sua mossa è sempre stata tesa all’ottundimento delle coscienze dei suoi cittadini, per celare le ristrettezze economiche iraniane, per giustificarne l’isolamento. Ed ogni sua mossa è sempre stata avallata dall’ayatollah Khamenei. I giovani iraniani, tuttavia, non l’hanno accettato. Sono scesi in piazza trent’anni dopo i loro genitori. Inutilmente, forse. Ma hanno dato un segnale di riscossa, hanno lanciato un appello, inascoltato, all’Occidente. Obama ha le mani troppo legate per poter garantire loro un supporto contro il nemico comune, perché altrimenti aprirebbe un altro fronte difficilmente gestibile per gli Usa. Ci sono già Iraq e Afghanistan. La politica d’ingerenza americana ha già dimostrato la sua scarsa efficacia tanto che la nuova amministrazione sembra intenzionata ad adottare strategie diverse. Per ora da parte del neopresidente Usa c’è stato solo un invito al dialogo rivolto all’Islam nella sua totalità, anche se è innegabile che alcune dichiarazioni erano rivolte specificatamente alla Repubblica Islamica.

Tehran, 20 giugno. Neda giace a terra con gli occhi sbarrati. Il suo corpo giovane e bello, che si era unito ai manifestanti, è esanime. Un basilij l’ha uccisa con un colpo d’arma da fuoco. Europa, America, Asia, 21 giugno. Il volto straziato di Neda campeggia nella prime pagine dei giornali. La morte è in scena, dopo essere stata sparata nell’etere da Twitter, l’unico fronte informativo sopravvissuto al giro di vite mediatico del regime. Ecco il simbolo della rivoluzione stroncata, ecco il naufragio della speranza- iraniana e non solo. È l’ultimo acuto mediatico. Piano piano  le notizie iraniane vengono declassate nelle pagine centrali. S’infittiscono piuttosto i pronostici e le analisi circa il destino che avranno i ragazzi di Mousavi.

Tehran, oggi, domani e chissà per quanto ancora. I giovani cresciuti lontani dall’ideologia rivoluzionaria cercano la democrazia. Ma continuano a non trovarla.

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