Scacco all’informazione
“Qui non si canta al modo delle rane gracchianti”. E’ un incipit che già traemmo della rivista futurista “La Cerba” dei primi del secolo scorso e che oggi riproponiamo almeno per un paio di motivi. Innanzitutto per commemorare quell’ottobre 2005, quando Orizzonte Universitario, con questa frase, apriva il suo primo numero. Oggi a quasi 5 anni di distanza, quel foglio è diventato un giornale con circa 30 redattori distribuiti tra l’università statale di Milano e la Sapienza di Roma, dove a partire dal tredicesimo numero, abbiamo inaugurato l’edizione romana del periodico, un ponte informativo tra due dei principali atenei italiani.
E poi perché, rispolverando quella vecchia frase, ci siamo resi conto della sua straordinaria attualità, del suo straordinario potere espressivo, del suo rifiuto ad una omologazione culturale che era già crisi di un sistema. E che ci riporta, con un balzo centenario, ad oggi.
I mezzi sono cambiati, si sono modernizzati, ma il problema dell’omologazione culturale resta.
Ed è la tv ad essere protagonista, essendo gli italiani, nella loro maggioranza un popolo che trae nutrimento culturale dalla stessa. Tv che diviene non veicolo di informazione e cultura, ma instrumentum regni, che nella sua quasi totalità, è nella disponibilità di un unico individuo.
E’ inutile ancora ribadire il valore sociologico intrinseco al mezzo mediatico. Il potere di condizionare, di formare un modus pensandi, di conformare, omologando la platea mediatica culturalmente meno evoluta. E con la scusa che “tanto c’è il telecomando” continuano ad irrorare il Berlusconi pensiero. Che è non pensiero, confezionamento del nulla proposto quale prodotto televisivo, necessario a limitare al minimo lo stimolo ad interrogarsi, a sapere, a voler approfondire, appiattendo con un palinsesto farcito di gossip, luoghi comuni e moralità spicciola, la mentalità dei telespettatori, forgiando la massa e componendo la sua immagine, su cui il consenso elettorale dell’intera maggioranza è basato. E cosi si mette alla gogna il sapere, si avvia l’inquisizione laica dell’informazione, la caccia alle streghe della verità.
Immaginiamo la televisione, vero momento di approvvigionamento culturale degli italiani (si stimano quote che oscillano attorno al 70%), poco avvezzi alla lettura dei quotidiani, ed escludendo i cybernauti che sono una minoranza (fortunatamente in aumento), monca di quella manciata di programmi realmente informativi quali anno zero, report, presa diretta, blu notte ed altri pochi esemplari casi. Cosa rimarrebbe? Cosa sapremmo? Ben poco. Quasi nulla. Avremmo una informazione che non informa. Cioè che non fa il suo dovere, che rasenta la superficie degli eventi seguendo palinsesti decisi dal potere, non dall’importanza dei fatti. Ovvero soggiace a logiche non giornalistiche e, se non imposte, almeno “suggerite”, come i giornalisti Rai hanno più volte denunciato (documentario “citizen Berlusconi” trasmesso da current tv).
Ma lungi da me pensare che, ad oggi, non vi sia libertà di stampa. Anche se “parzialmente libera” (dati freedom house) l’Italia gode ancora di questo diritto. E’ invece innegabile che vi sia in corso un attacco a tale libertà. Conquistato l’accesso all’informazione, attraverso l’assalto alla diligenza dei vertici aziendali Rai, alle nomine dei direttori di tg1 e tg2, ai contatti diretti con dirigenti della rete (si pensi al caso Saccà), ai ricollocamenti strategici di direttori di testate giornalistiche, ed anche alla connivenza di molti giornalisti che volutamente abbassano la loro soglia critica, Berlusconi punta adesso al controllo totale della stessa. All’eliminazione degli ultimi baluardi di resistenza, alla disinformazione totale, cui il DDL Alfano segnerà il trionfo. Zittita quindi l’informazione più cedevole, spesso auto censoria, non ne rimane che lo zoccolo duro, l’ultima sacca di resistenza, quella che non puoi comprare o ridurre ad un unico monotono suono, che non cede a pressioni ricatti, che ha ancora un senso di rispetto per il proprio lavoro, che non è disposta a compromessi od a calarsi le braghe in cambio di una poltrona. Ma che è alle corde. Sbatte e si dimena in un istintuale anelito alla sopravvivenza, che è il diritto ad informare e per converso, il nostro democratico diritto a sapere.
Siamo di fronte cioè, alla loro, nostra, ultima resistenza. Per la quale non si può commettere l’errore storico di non fare fronte comune, di non smarcarsi da preconcetti od ipoteche partitiche, essendo qui in gioco un bene di tutti, privo di colore politico, impalcatura dello stato democratico: la libertà di informazione.
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