La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità
5 Ottobre 2023 – 17:07 | Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.In un metaverso che vede archiviata… Read more

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Università, cronaca di una morte annunciata

Scritto da – 25 Agosto 2010 – 03:16Nessun commento

Devo ammettere che i primi provvedimenti presi dal Ministro Gelmini mi sono piaciuti: ritornare all’educazione civica, ai voti, soprattutto a quello in condotta, mi sembra sintomo di chiarezza e rigore, in un universo giovanile in cui abbondano i casi di bullismo e disinteresse per lo studio. Infatti, negli ultimi anni si è diffusa la convinzione che studiare sia inutile, meglio cercarsi qualche raccomandazione, pardon, segnalazione – tanto, si sa, lo fanno tutti – e guadagnare il più possibile. Del resto, è noto che nel nostro paese le professioni intellettuali sono sottopagate e sempre peggio considerate dall’opinione pubblica, che vede nello studio quasi “una perdita di tempo”. Manca la coscienza della complessità, si ragiona nel breve periodo e si attribuisce un’importanza spropositata alle apparenze, giudicando con superficialità e fermandosi alla punta dell’iceberg senza analizzare a fondo i problemi.  Un ritorno alla severità, alla fatica dell’apprendere, che è cosa ben diversa dal fare ricerche su Internet, mi pare un buon segnale.  Anche la proposta del grembiule è socialmente non discriminatoria verso chi non si può permettere abiti firmati e soprattutto contraria al consumismo imperante.  Ma dopo questi provvedimenti estemporanei fatti per cattivarsi il consenso, sono giunti gli ingenti tagli all’istruzione pubblica, di cui il ritorno al maestro unico mi pare un corollario.

Non sono in assoluto ostile al maestro unico, avendo un bellissimo ricordo della mia maestra “unica”, figura di riferimento indispensabile per un bambino di pochi anni, ma rimango basita dalla frenesia che ogni ministro ha di rivoluzionare l’intero sistema educativo, radendo al suolo tutto quello che era stato fatto prima e non valorizzando le competenze accumulate durante gli anni precedenti.  I mali della scuola sono innegabili e vengono da molto lontano, ma fare, fare, senza troppo pensare, mi pare il motivo conduttore di un ministro giovane e senza alcuna conoscenza diretta del mondo dell’istruzione.  Il voto di “fiducia” posto in Parlamento sull’emendamento-scuola è un segnale di debolezza, vista la larga maggioranza di cui il Governo dispone in entrambe le Camere. Se proprio dei tagli devono essere fatti, perchè concentrarli nella scuola pubblica e non ripartirli anche su quella privata? E magari dare un segnale “forte” tagliando stipendi e prebende della classe politica?

E’ risaputo che la competitività di un paese avanzato si basa soprattutto sulla preparazione delle sue risorse umane…. mi domando come questo assunto sia conciliabile con l’aumento del numero di alunni per classe e la diminuzione delle ore di lezione, per non parlare della ventilata proposta di portare a quattro gli anni di secondaria di secondo grado, per allinearci con l’Europa, come se ogni paese non avesse una specificità di cui tenere conto. La proposta di rendere l’insegnamento del latino opzionale al Liceo Scientifico non solo denota una volta di più la mancanza di senso della storia e della cultura di gran parte di questo governo, ma è anche indice di provincialismo: si cerca disperatamente di rincorrere il pragmatismo americano, quando proprio là è in forte crescita lo studio delle lingua dei nostri avi.  Anche nel vecchio continente si stanno rivalutando le materie umanistiche e le lingue morte in particolare, quale baluardo contro le incertezze dei tempi, risposta alle grandi domande esistenziali dell’uomo moderno e riscoperta delle radici comuni europee.  Il sistema educativo italiano in passato vantava – e in parte vanta ancora – una solida preparazione teorica, superiore, ad esempio, a quella dei paesi anglosassoni.

Denunciare i bassi stipendi degli insegnanti come una delle cause della debaclè della scuola mi sembra demagogico e inesatto: è risaputo che nel nostro paese i salari in generale e non solo quelli degli insegnanti sono molto più bassi che altrove.  Inoltre, in una congiuntura economica avversa come quella che stiamo vivendo mi sembra una presa in giro solo pensare di poter aumentare le retribuzioni di una categoria così numerosa.  Che dire poi dell’Università? Bisognerebbe avere il coraggio di ammettere che i nostri atenei mediamente hanno un livello qualitativo molto basso e la ricerca è quasi inesistente.  La riforma dei 3+2 e del sistema dei crediti è stata un fallimento, fatta solo per allinearci agli standard europei relativamente alla percentuale di laureati, che effettivamente ha subito un incremento.  In realtà, la laurea triennale è snobbata dal mondo del lavoro e di fatto il 90% degli studenti si iscrive al biennio successivo, con il risultato che per dirsi davvero laureati si impiegano 5 anni invece dei 4 ante-riforma!

Problema che attanaglia l’università è la cronica mancanza di fondi, in particolare per la ricerca, senza la quale non c’è futuro per la competitività dell’Italia. I recenti tagli sono ingenti e gravissimi in un momento in cui sembrava rinascere l’interesse per la ricerca scientifica e ci si poneva il problema dei “cervelli in fuga”…che a questo punto non solo non torneranno mai, ma fuggiranno sempre più numerosi!

E’ ingeneroso far lavorare tanti valenti ricercatori come precari, con retribuzioni bassissime, senza riconoscere l’importanza capitale del loro contributo alla crescita del paese e senza dar loro la necessaria tranquillità, non solo economica, ma anche di continuità di un progetto nel tempo. La questione più difficilmente risolvibile dei nostri atenei è però l’oscuro sistema di inserimento e avanzamento di carriera: i continui casi di cronaca inerenti i concorsi “truccati” e l’estensione abnorme del nepotismo sono scandalosi e dovrebbero provocare un giro di vite da parte della autorità preposte, ma purtroppo non succede: è lo stesso potere politico, profondamente irradiato nelle università, ad avvantaggiarsi di queste situazioni.

Recentemente è uscito un libro del Prof. Perotti, “L’università truccata”, proprio sulla “malauniversità”: fra i tanti, si cita il caso della Sapienza di Roma, in cui il rettore neo-eletto ha “piazzato” nel medesimo ateneo moglie e due figli.  Ben venga il ritorno dell’educazione civica a scuola, ma la questione morale sembra ormai dimenticata: quasi nessuno si stupisce più di fronte a palesi illegalità e leggi ingiuste; a forza di sbandierare che “lo fanno tutti: tanto vale dirlo senza tanti eufemismi”, sta diventando normale ciò che dovrebbe creare almeno qualche dilemma di coscienza.  La politica manca di una visuale di ampio respiro, tende a soluzioni semplicistiche o estemporanee, si lascia tentare da discorsi da bar, generalizzando in maniera imbarazzante intere categorie (l’impiegato pubblico fannullone, il pilota Alitalia super-pagato) per far salire gli indici di gradimento presso l’elettorato, ma si guarda bene dal toccare i privilegi dei manager pubblici e addirittura aumenta la protezione giuridica nei confronti della più alte cariche dello Stato!

Mancano soluzioni durature per il futuro del paese, ma il fattore più preoccupante è il sonno delle coscienze dei cittadini, che appaiono quasi stanchi di sentire sempre le stesse antiche questioni irrisolte.  Il ministro Gelmini non è il primo a citare come un mantra la parola “meritocrazia”, ma fino a quando per accedere a un concorso o a una carica pubblica sarà indispensabile “conoscere qualcuno”, mi sembra uno slogan offensivo verso le tante persone oneste che nonostante tutto continuano ad esserlo.

Simona Lomolino


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