La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità
5 Ottobre 2023 – 17:07 | Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.In un metaverso che vede archiviata… Read more

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Università, covo dei baronati e morte della meritocrazia

Scritto da – 25 Agosto 2010 – 03:12Un commento

Statale in fibrillazione. Per l’ateneo da decenni unanimemente riconosciuto come cuore pulsante di agitazioni studentesche, iniziative di contestazione, fremiti di ribellione, uno scenario certo non nuovo. L’attuale congiuntura degli eventi ci offre dinanzi il triste scenario di una crisi economico-finanziaria di vasta portata, ampiamente preventivabile nel momento in cui gli uomini di denaro cessano di essere uomini per tramutarsi in vulcani dediti alla speculazione e al più bieco economicismo sfrondato da qualsiasi supporto eticamente illuminato. Ci offre soprattutto un mondo, quello dell’università e della formazione genericamente intesa, ancora alla ricerca di una identità propria, libero per davvero da vecchi intoppi burocratici e perenni sacche di nullismo strategico a lungo termine. Notiamo in queste ultime settimane mobilitazioni permanenti da parte dei collettivi studenteschi, amorevolmente affiancati da docenti, ricercatori, assegnisti, impegnati nella titanica battaglia contro il DL Tremonti-Gelmini, un provvedimento che non disegna una riforma organica e complessiva del sistema universitario il quale, secondo i contestatori, rappresenta “la continuazione di un percorso duraturo negli anni, portato avanti da governi di diverse bandiere, che ora giunge al definitivo smantellamento dell’Università Pubblica”. Notiamo come ai “piani alti” dell’ateneo l’adesione e il sostegno, in taluni casi concreto, alle manifestazioni di protesta, facilmente degenerabili in episodi di autentica prevaricazione (il tentativo di occupazione del Rettorato e di sospensione delle lezioni, la minaccia di ritorsioni in caso di mancato annullamento dell’inaugurazione dell’anno accademico), siano considerati un fatto tutto sommato accettabile, men che meno suscettibile di qualsivoglia genere di critica. Quell’insano lassismo istituzionale che spaventa per la sua inspiegabile evidenza, che non meraviglia per la sua puntuale regolarità. Un’università, limitando la nostra attenzione al caso della Statale, che, pur comprendendo i legittimi lamenti dinanzi a risorse e finanziamenti governativi tutt’altro che esosi, risponde sdegnosamente a richieste di schietta autocritica formulate da alcuni poveri malcapitati, evidentemente interessati al nocciolo vero del sistema accademico. Un nocciolo, un problema che prende il nome di “trasparenza”. Un termine direttamente associabile al termine “meritocrazia”. Una coppia di concetti inscindibile. Nella risposta sdegnosa, dal sapore inequivocabilmente arrogante, del Rettore si nasconde forse il sugo della questione: lo storico atteggiamento di arroccamento e di chiusura tenuto da vertici e sotto-vertici del sistema universitario dinanzi a qualsivoglia genere di innovazione, o accenno di innovazione, proveniente dal potere politico. Si nasconde una generica difesa dell’esistente, un fronte comune composto da alte autorità accademiche, docenti-baroni e personale amministrativo volto a combattere e contrastare ogni ipotesi di cambiamento, in difesa di sani principi di autonomia, libertà e pluralismo, che pero’ qui vengono assorbiti dalla logica dell’interesse di parte, che una certa politica universitaria non manca di magnificare,sguazzandoci come un maiale nel fango. Non pare arduo scorgere in tutto questo una stoica, a tratti rabbiosa, difesa di posizioni, interessi e privilegi da sempre appartenuti a quella che da anni si (auto) definisce come “casta baronale”, con tutto il loro indecente fardello di sprechi e di abusi più o meno legalizzati. Non ci si stupisce di ciò nel momento in cui è da sempre mancato un vero esame di coscienza, un semplice e spontaneo momento di critica comprensione degli avvenimenti, una schietta e franca auto-analisi dei mali interni che affliggono il mondo universitario e la sua gestione complessiva. Domandarsi apertamente per quale strano motivo la maggiore università italiana, l’Alma Mater di Bologna, internazionalmente riconosciuta per il pregio della sua didattica e dell’alta offerta di studio nonché per la ricca varietà di servizi dedicati agli studenti, sia sprofondata al posto n.192 nell’annuale graduatoria delle 200 capitali del sapere per qualità della ricerca, per tasso d’occupazione dei laureati e per profilo mondiale, sarebbe molto probabilmente più utile e costruttivo che non inondare le aule di lacrime per il denaro che ha fatto “puff!”. Sarà istruttivo prestare interesse alle motivazioni date da un noto politologo come Gianfranco Pasquino ad un così malinconico piazzamento: “Molti docenti bolognesi sono autorevoli, ma hanno una certa età, pubblicano poco all’estero, mentre in un mondo globalizzato vanno avanti i coreani o cinesi che studiano in America e poi tornano a casa, continuano a scambiare informazioni in comunità dove l’unica lingua è l’inglese» (Corriere della Sera, 10 ottobre 2008). Carenza di contatti con il mondo, scarsa preparazione della classe docente, età troppo avanzata per pensare progetti mirati al futuro e alla valorizzazione dei giovani ricercatori. Per non parlare dell’onnipresente virus del clientelismo che permette magicamente a chi presiede un Cnr di offrire laute marchette a chiunque pur di non scontentare nessuno dei candidati a comporre un organo di così decisiva centralità nel sistema accademico. E laddove non arrivano logiche di propensione all’abuso e di strapotere baronale, ecco spuntare l’immancabile mondo delle “grandi famiglie”, politiche o di altra estrazione. All’Università di Bologna, racconta il professor Carlo Flamini, “comandano due grandi famiglie: i massoni e l’Opus Dei. Senza di loro non hai soldi, collaboratori, nulla: sono qui dal 1960 e non sono mai stato inserito in una commissione di Medicina, dove gestiscono il potere vero e danno le borse di studio. I giovani hanno capito e infatti, se vanno all’estero, non tornano. Fanno bene. Là, ragionano coi migliori cervelli. Qui, trovano i laboratori coi topi. E non resta loro che adagiarsi » (Corriere della Sera, 10 ottobre 2008). In Statale, potere clericale e potere massonico non hanno avuto la stessa fortuna quanto a influenza e attecchimento presso studenti e “tecnici”. Ma non si può certo negare la forte influenza di formazioni politiche o lobbistiche nell’orientamento e nelle scelte compiute dall’università negli ambiti più svariati. Il caso lampante è costituito dalle decisioni assunte nel corso dell’ultima seduta della Commissione per le attività culturali e sociali portate avanti dagli studenti in ambito universitario. Il potere di veto dei gruppi politici spiccanti a livello elettorale, con astute operazioni di spartizione dei fondi messi a disposizione dall’università, hanno dato vita ad un’altra edizione di quello squallido teatrino monopolista volto all’accaparramento quasi esclusivo di risorse e progetti a scapito di iniziative lo stesso meritevoli di “nutrimento”. Progetti in grado di aumentare il tasso di pluralismo, ad oggi piuttosto magro, presente in Statale, ma forse avente soltanto il piccolo torto di non avere le camicie di forza imposte dalla politica clientelare e monopolista di gruppi di potere, ahimè anche studenteschi.  Una rincorsa alla trasparenza nella gestione del grande apparato universitario condotta da pochi, piccoli Davide impegnati in uno scontro impari, piccole gocce di verità e di anticonformismo drammaticamente impantanate in territori ostili. Un torrente bisognoso di nuovi affluenti. Per diventare cascata. Cascata di trasparenza. Cascata di meritocrazia.

Gianluca Kamal


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