Mid Term, il verdetto del popolo americano
Il risultato delle elezioni di “mid-term”, svoltesi poche settimane fa negli USA, sono un durissimo colpo per il Presidente Barack Obama, che si trova completamente accerchiato, non avendo più la maggioranza né alla Camera né al Senato. Un risultato che non è diretto in sé e per sé al Partito Democratico, ma allo stesso inquilino della Casa Bianca, che d’ora in poi sarà costretto a dover trattare con maggior sudditanza con i Repubblicani. Per certi aspetti la disfatta democratica sorprende giornalisti e opinionisti, poiché l’amministrazione Obama si è fortemente distinta da quella precedente: l’approvazione di una riforma sanitaria, “l’Obama care”, che garantisce cure mediche ai meno abbienti con la contribuzione di tutti i cittadini. Soprattutto manovre finalizzate, prima di tutto, a risollevare un’economia devastata nel 2008 dalla peggiore crisi economica dopo il ’29, e, in secondo luogo, a diminuire notevolmente la disoccupazione. Infine, non sono state iniziate nuove guerre. Insomma è stata una buona amministrazione, ma sembra non bastare per il popolo americano. È stata criticata duramente la politica estera di questi sei anni, caratterizzata dal dialogo e dalla pace, elementi che non sono stati visti come forme di leadership, ma di debolezza ed impreparazione del Presidente. Inoltre finanza e industria bellica hanno fortemente osteggiato il Presidente, dato che non hanno ottenuto quei vantaggi avuti, al contrario, durante l’amministrazione guerrafondaia di Bush. Il giornalista britannico, Martin Amis, sostenitore di Obama, ha dichiarato: “Con l’eccezione di una riforma sanitaria azzoppata nella realizzazione e certamente migliorabile, Obama ha fatto molto meno di quanto ci si aspettasse. E in politica estera ha consegnato al mondo l’idea di una leadership debole o addirittura assente”.
“Sono pronto a lavorare con questo Congresso a maggioranza repubblicana. Ma userò il mio potere di veto se mi presentano proposte inaccettabili”, queste le parole del Presidente dopo i risultati, che ha aggiunto a grandi linee un programma per il prossimo biennio: “Nuovi investimenti pubbliche nelle infrastrutture; riforma fiscale per ridurre l’elusione e abbassare le tasse sulle imprese; trattati di libero scambio con Europa e Asia”. Certo è che i rapporti di forza sono cambiati, e la storia ha dimostrato come la convivenza tra opposte fazioni politiche negli USA sia difficile e, spesso, dannosa. L’esempio più recente è l’amministrazione Clinton. Con un Congresso a maggioranza repubblicana, ha adottato quelle riforme di “deregulation” che sono state preliminari alla crisi del 2008.
Sei anni fa, con il suo slogan “Yes, we can”, si era presentato all’America e al mondo come una speranza e una possibilità di riscatto, perché aveva capito che gli USA e il mondo non erano più gli stessi dopo il fallimento della banca d’affari “Lemhan Brothers”. Tuttavia, il popolo americano sembra non essere ancora pronta ad emanciparsi da forme di conservatorismi legate all’idea di un America forte ed imperialista. Non è stato premiato adesso, ma forse un giorno i posteri gli riconosceranno i risultati di un’amministrazione coraggiosa e diversa rispetto al passato.
Edoardo Cossu
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