Sapienza, seminario su Carmelo Bene
Maggio? Giugno? Faceva già caldo, questo sicuro; è stato organizzato un seminario, alla Sapienza. Titolo? “Carmelo Bene, In-contro tra cinema e teatro”. Quest’anno, certo. Era ancora vivo il Divo. Andreotti, vivo? Ancora? Comunque… l’incontro, dicevamo. Organizzato, dis-organizzato. Il proiettore dell’aula 1 della facoltà di Filosofia, Lettere, Scienze umanistiche e Studi orientali si illuminava degli infiniti e fulminanti fotogrammi di “Nostra Signora dei turchi”; della raffica – insostenibile per gli occhi (per la mente?) – di migliaia inquadrature del “Don Giovanni”; l’audio sporcato non consentiva all’orecchio di ascoltare – come si doveva – la voce della macchina attoriale CìBì. Si scavalcava la parola, si sgambettava il linguaggio. Non importa, li avevo tutti già visti.
Quella santa è una donna! Il mio regno per un cavallo! Il mondo per uno “spread”! La Sapienza per un clistere! C’è Bene, qui? Non c’è Bene, grazie! Torni a casa.
Ah, Bene! Faceva saltare i nervi alla platea del Maurizio Costanzo Show nell’ “Uno contro tutti” del 28 giugno 1994; un liberatorio: «Qui c’è troppa puzza di Dio». Qualcuno – chissà chi – ricordi a qualche studente-già professore che per i viali alberati della Sapienza c’è troppa puzza di Marx. Grazie. Bene. Ho finito. Anzi, no. Li vedo, li vedo, si lasciano infettare dal cancro della fede, istaurano un legame di tipo fideistico verso qualsivoglia ideologia politica/economica. Fanno come i cani, invece di fare come i gatti randagi. Gli metti da mangiare nella ciotola, quelli mangiano e se ne vanno. Manco un saluto. Questi invece continuano a sputare – in maniera scellerata- su Nietzsche, Stirner, P. Lafargue. E sputa, sputa! Sciacquati la bocca e risputa. Vuoi fare la rivoluzione sociale? Bisogna prima rivoltarsi dentro. Cretino!
L’incontro, dicevamo. Ecco frate Asino. Giuseppe Desa da Copertino. Frati! Asino! Vedessi come sei ridicolo! Ci sono cretini che hanno visto professori, qui nell’urbe universitaria. Due “cfu”? Tre? Non ne basterebbero dieci, cara. Non sono d’accordo, andiamocene via. Il secondo incontro: ecco il “Don Giovanni”, il femminista. Quasi malefico. Malefica, Malefiche. Ma suvvia, suvvia! Che «Tutto questo non comporta un astio nei confronti della donna o delle donne, ma semmai un’infinita agape schopenhaueriana, semmai lo stupore infinito che la donna non sia l’Abbandono». Difficile da inghiottire, quest’opera, provoca un bel mal di testa. La trama non c’è. Ci capireste qualcosa, voi? «Per capire un poeta, un artista -a meno che questo non sia soltanto un attore- ci vuole un altro poeta e ci vuole un altro artista». Dici bene, Bene. «Non si dà critico, diceva Oscar Wilde, fuori dall’artista».
Altro incontro, altro scontro: L’Amleto, uno di meno. Super-umanità attoriale. Ma l’incompatibilità, addirittura l’idiosincrasia tra “Collettivo” e “fantasia”? Dove – come – la mettiamo? Così come “teatro” e “spettacolo”. «Dove c’è spettacolo non c’è teatro. Il teatro può dare osceno, proprio nell’etimo, porno nel senso proprio greco». Nietzsche e Kafka pornomani, pornografi. Io pornomane. Che Marx «parli con Heidegger e vada a fare in culo!». Toc toc! Chi è? Il Che! Che? Orrido, orrido, orrido! Come s’annoia, Amleto, superiormente… Dategli un Tocqueville.
Cos’è quello? “Vita di Carmelo Bene”. Leggi. Si legge? Scrive: «Disprezzo i giovani di questi ultimi trent’anni. Tutto il lager schiamazzante delle rivolte studentesche. Questa sciagurata età (tutt’altro che “oisive”) pericolosamente volitiva. Mummie foruncolose e imbellettate che, con la scusa di rivendicare e accattonare un mutamento, una riforma o altro, nidificano nell’autoconservazione. Questa perpetua assemblea è il confort della bestialità del branco. Di giovinazzi e giovinazze che, invece di sequestrare se stessi, “desiderando” (è l’etimo di “studio”) e progettando in tutto privato, s’illudono di “okkupare” una scuola pubblica allo scopo cretinissimo di conferirle “dignità” ed “efficacia” innovativa». Ehi! Ehi! Amico, vacci piano!
Un momento! I “cfu”? Mi spettano. Ora che ci penso non mi servono. Teneteveli. «È la folla come fallo, è l’errore di massa. Non l’erranza. È finita quell’erranza, il nomadismo, il pensiero. Dove c’è qualità si muore. Si tocca il filo rosso. Crepi. È cortocircuito».
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