Patti Smith, Molfetta, 18 Luglio 2012 – Cronaca di una notte d’amore
Tutto comincia con un classico esempio di disorganizzazione italianomeridionale. La zona di Molfetta (BA) nei pressi della banchina San Domenico, dove si svolgerà il concerto, è sprovvista degli opportuni parcheggi auto. Esasperati, si adocchia un posto di fortuna e, già passate le 21 (ora prevista di inizio), si corre per raggiungere il luogo designato. Arrivati qui va ancora peggio. Una fila lunga oltre 200 metri per l’ingresso. I malumori sono attenuati solo dall’entusiasmo per l’attesa, ma dilagano quando, trascorsi oltre 20 minuti, il concerto comincia con molti spettatori (tra cui noi) ancora fuori dai cancelli. Per fortuna riusciamo a guadagnare l’ingresso entro la fine del primo pezzo (a questo punto le spinte sono concesse). Patti è già affascinante anche vista da lontano; come un richiamo capiamo, senza dircelo, che non si sarebbe trattato di un concerto da guardare seduti sui nostri posti nel II settore; quindi, come altri, ci accalchiamo ai lati dei primi blocchi, stretti ma almeno vedendo decentemente. Grande Patti Smith e grande la band. Suonano davvero bene, la musica già ti compenetra da ogni poro. Purtroppo però la security (decisamente esagerata rispetto al numero di persone), si applica con il massimo impegno per disturbare il nostro ballare e cantare inneggiando a libertà e amore, intimandoci di schiacciarci lungo il muro per lasciare libero un inutile corridoio, puntando le torce e sbraitando.
E’ un attimo, e tutto cambia. Patti fa un gesto leggero e quasi impercettibile con la mano. E’ come un segno rituale, come se avesse comunicato contemporaneamente con tutte le nostre menti. Senza nemmeno rendercene conto stiamo già tutti correndo a più non posso verso il palco, saltando ostacoli, sedie e transenne. La sicurezza è ovviamente incapace di fare alcunchè e così, dopo una manciata di secondi, come un fiume che ha rotto gli argini, siamo tutti riversati sotto il palco, accalcati e felicissimi a pochi metri da lei, saltando e ballando senza più nessun legaccio. Un bel concerto si trasforma in una straordinaria storia d’amore. Immediatamente è chiaro a tutti perchè la chiamino la sacerdotessa del Rock. E’ bastato un gesto per chiudere il mare di gente al suo comando. E, con il vento che le smuove i capelli crespi e spettinati, è ora intenta ad incantarci, una canzone dopo l’altra, tra musica e gesti. Il resto più che un concerto sembra un trip in quella specie di passato mitizzato e mai vissuto che attribuiamo agli anni 60, tra libertà, amore e musica. Un’esperienza onirica che culmina con because the night, con tutto il pubblico che canta accorato, e si conclude in un’esplosione di coinvolgimento ed energia (e pugni alzati) quando, dopo essere uscita e rientrata, conclude con People have the Power.
La capacità di dialogare con le nostre emozioni è degna solo dei più grandi, si passa da urla di gioia a momenti di vera commozione in pochi istanti.
Scoppia anche l’ilarità quando, dopo un coro da stadio per richiamarla dopo l’uscita rituale, ammette divertita: “I’m feeling like I’m just won the world cup”.
Ineccepibile la band, musicisti davvero bravi e generosi.
Ma la differenza tra un artista e un mito appare evidente: lei non si è limitata a tenere un concerto, lo ha dominato, lei è stata il concerto, ribaltando senza chiedere permessi la divisione in classi imposta dal mercato, che vede davanti chi è disposto a pagare di più o gode di una qualche raccomandazione. La realtà ribaltata, come in un surreale carnevale musicale.
Grazie Patti, queste sono esperienze che non si dimenticano. Di sicuro la Puglia non ti dimenticherà dopo questa notte.
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