La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità
5 Ottobre 2023 – 17:07 | Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.In un metaverso che vede archiviata… Read more

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Terraferma e Cose dell’altro mondo: l’immigrazione tra riso e pianto nell’ultimo cinema Italiano

Scritto da – 27 Ottobre 2011 – 14:06Nessun commento

Se il dramma degli sbarchi dei profughi Nord-Africani sulle coste Siciliane pare subire alternativamente picchi e cali nell’agenda dei Tg nazionali, a conclusione della 68a Ed. della Mostra del Cinema di Venezia è emerso come invece una tendenza opposta caratterizzi il cinema nostrano. Molte sono state infatti le opere presentate nelle varie sezioni del Festival che hanno affrontato un punto di vista sull’immigrazione e l’integrazione multiculturale nel nostro paese; ed è infine proprio in questo filone tematico che sono stati assegnati alcuni prestigiosi premi (Terraferma di E. Crialese – premio speciale della giuria; Là-bas di G. Lombardi – premio miglior opera prima; A chjana di J. Carpignano – premio Controcampo Italiano cortometraggi). Quasi in contemporanea alle proiezioni Veneziane, approdano anche nelle sale i due film, che tra gli altri menzionati, maggiormente convergono nel mainstream della distribuzione cinematografica italiana, appunto Terraferma e Cose dell’altro mondo di F. Patierno (anch’esso in concorso nella sezione Controcampo Italiano) pungolando l’opinione pubblica sulla sempre urgente e delicata questione dell’accoglienza degli stranieri in Italia.

Collocandosi agli antipodi dei generi, Terraferma/dramma realista Vs. Cose dell’altro mondo/commedia surreale, i due film in realtà esauriscono le loro più grandi divergenze forse solo nelle ambientazioni: l’isola Siciliana di Linosa (dove la modernità non si è mai insediata davvero) il primo, e la città di Treviso (dove l’industrializzazione ha al contrario preso il sopravvento sul contatto umano) il secondo; piuttosto i due film sviluppano, ciascuno a suo modo, un nucleo tematico comune e fondamentale, ovvero il confronto plurigenerazionale. In Terraferma la comparazione mostra tutti i suoi termini di paragone attraverso una famiglia imbattutasi nel salvataggio illegale di fuggiaschi Libici, tra cui Sara, madre già di un figlio ed in attesa di un secondo, gettatisi a mare per sfuggire alle motovedette della guardia di finanza.

Il nonno Ernesto, rappresentante del mondo arcaico dei pescatori ormai in via di estinzione, risponde solo alla legge del mare e alla propria coscienza, che gli impongono il rispetto per l’uomo suo simile a prescindere dall’etnia. Suo figlio Nino (Beppe Fiorello) e sua nuora Giulietta (Donatella Finocchiaro) rispecchiano, invece, la società attuale, evoluzione/degenerazione del benessere economico e delle strategie di mercato; lavorano nel turismo, elaborano e divulgano un’immagine paradisiaca dell’isola, nascondendo dietro i falsi sorrisi la propria miseria. La rincorsa al passo coi tempi del consumismo e della speculazione costringe loro a vedere gli immigrati, rifugiati di guerra o semplicemente in cerca di lavoro, come intralcio e cattiva pubblicità. Crialese costruisce il climax del film avvalendosi proprio di suggestivi quadri paralleli per evidenziarne la più irriducibile incompatibilità.

I villeggianti spensierati si accalcano su imbarcazioni (non proprio omologate) per le escursioni intorno all’isola e si tuffano euforici nelle stesse acque che, al contempo, vengono solcate da ben altri barconi di fortuna, gremiti di altrettanti corpi che nel gettarsi in mare non avrebbero trovato alcuna differenza tra la salvezza e la morte. Ancora più esplicite e icastiche le figure di Sara e Giulietta, entrambe madri sole, il cui unico scopo di vita è cercare di costruire per i propri figli un futuro migliore. Tuttavia, l’una non si riconoscerà nell’altra, al contrario le loro rispettive disperazioni rappresenteranno il più grande ostacolo nella reciproca lotta per la sopravvivenza. Giulietta aiuterà Sara a partorire più per costrizione che per istinto e sino al momento dell’addio reprimerà sempre l’empatia verso la loro comune maternità, perché per la comunità istituzionale, che teme e rispetta, non vale a molto la solidarietà e la riconoscenza umana.

Di questa stessa generazione forzatamente desensibilizzata, fanno parte anche l’industriale Golfetto (Diego Abatantuono) il poliziotto Ariele (Valerio Mastandrea) e l’insegnante Laura (Valentina Lodovini) protagonisti di Cose dell’altro mondo. I primi due, scontrosi e apatici verso la vita in generale, impersonano la caricatura dell’ultimo Italiano medio e all’inspiegabile evento abbattutosi sul territorio nazionale, ovvero la scomparsa improvvisa di tutti gli immigrati ivi presenti, reagiranno con un inconsistente e ignorante pragmatismo (ovviamente provocatorio). Per entrambi si manifesterà impietosa la realtà che non può più fare a meno dei lavoratori stranieri, regolari e irregolari, inglobati in tutto il settore terziario (servizio assistenziale sociosanitario, industria, agricoltura, trasporti) e da cui conseguirà un inconcepibile blocco totale dell’economia. Il film, che lancia la riflessione senza però avanzare altre pretese di argomentazione, al fine di assecondare l’assurda parabola descritta, non spiega come mai non si riesca a reintegrare la manodopera tra la popolazione Italiana scombussolata dall’evento; di certo non si da credito alla credenza secondo cui gli italiani non vorrebbero più adempiere a certi tipi di “lavori umili” e al massimo si lascia intendere come al contrario non si possa più sostenere un sistema fondato sul lavoro nero e lo sfruttamento di chi è disposto a tutto per indigenza (italiani compresi). Prepotentemente spalmato sullo schermo è invece il ritratto grottesco di questi parvenu italiani, che senza braccianti, operai, badanti, governanti, prostitute extracomunitari, non sanno più condurre la propria comoda vita quotidiana. Golfetto si chiede “Ma prima di loro come facevamo? Non abbiamo bisogno di loro!”. La verità insinuata dal doppio finale del film è che del passato (l’Italia non ancora “Eldorado” per immigrati dall’Est Europa e dal Nord Africa) resta solo un mai colmato baratro culturale. Infatti, se per assurdo non ci si reca direttamente in Africa per caricare un furgoncino di altri lavoratori, non rimane che affidarsi alla superstizione popolare di bruciare propiziatoriamente uno spauracchio in piazza perché tutto torni come prima.

Tra il passato di un sistema di valori umani quasi al tramonto e il presente progressista delle politiche economiche, entrambi i film non si esimono però dal mostrare anche le generazioni prossime future e futuribili.

In Terraferma un ruolo fondamentale è svolto dal giovane Filippo, che orfano di padre, cresce nella contraddizione dell’educazione impartitagli dal nonno Ernesto e dalla madre Giulietta. Filippo vuole essere nel giusto, ma secondo quale giustizia? Salvare i profughi dalla morte in mare, dalle procedure amministrative e dal rimpatrio o salvare se stessi dall’incombente accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina? Sarà l’esasperazione di reprimere l’istinto di difesa e protezione proprie e altrui a condurlo a trasgredire parimenti il rispetto per la sua famiglia e la legalità. L’ultima generazione prende le distanze (metaforicamente al largo del mare siciliano alla guida di un peschereccio) per condurre lontano dalle sedicenti regolamentazioni Sara e i suoi figli. Nel dramma, dunque, il finale è positivo, per quanto non definitivo: un figlio immigrato può nascere e trovare riparo in Italia.

La stessa incoerenza formativa e il simbolismo della gravidanza, gestazione di un futuro diverso (non necessariamente migliore) sono presenti anche in Cose dell’altro mondo. Laura, tenta di sensibilizzare i suoi piccoli alunni al rispetto delle differenze multiculturali, per quanto essa stessa sia consapevole della mancanza di principi di riferimento che gli adulti mostrano e trasmettono ai propri figli. La stessa teme per il figlio che porta in grembo, perché come il suo compagno di colore scomparso potrebbe non riapparire più, così suo figlio potrebbe non nascere affatto in un paese che ha invocato la cacciata di tutti gli stranieri. Nella commedia il finale è amarissimo: L’Italia, tra le fila dei paesi più avanzati al mondo, in realtà non ha mai sviluppato una parallela, radicale e lungimirante evoluzione multiculturale, per cui in un paradosso fantapolitico smaschera  la sua perenne guerra tra poveri e pasoliniani mostri borghesi.

 

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