Prestiti universitari: nuove proposte, solite critiche
La tanto discussa manovra di correzione dei conti pubblici da qui al 2013, approvata nella prima metà di luglio, ha portato novità spiacevoli su vari fronti della vita del cittadino medio italiano. E per noi studenti, che cosa cambia? Nei fatti, a vedere il testo della Decisione di Finanza Pubblica), niente. In teoria, invece, vi si afferma che è necessario e c’è l’intenzione di incrementare la produttività e di migliorare l’organizzazione di settori quali la giustizia, la sanità, ed eccola qui, l’istruzione, definita un settore chiave per raggiungere l’aumento del PIL. Purtroppo, però, i buoni propositi si fermano qui. Eppure l’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) nel suo ultimo rapporto sull’Italia analizza ampiamente le possibilità di crescita dell’università italiana, e anzi propone alcuni suggerimenti intelligenti per renderla più efficiente. Nel documento si legge, amaramente, che le nostre università sono indietro rispetto a quelle di molti altri paesi, che la percentuale di italiani con un titolo di studio universitario si colloca tra il Portogallo e il Messico – tra i più bassi dell’area OCSE, quindi – e che non si trova nessun istituto italiano nella classifica mondiale dei primi 100. Che fare, dunque? In ambito amministrativo, sempre secondo il rapporto OCSE, sarebbe necessario innanzitutto stabilire una maggiore trasparenza nel prendere decisioni all’interno dei Dipartimenti e delle Facoltà, una più forte collaborazione tra le scelte dettate dagli interessi dei docenti e le esigenze dell’Ateneo, e la responsabilità effettiva dei rettori e i dirigenti, che dovrebbero rendere conto, attraverso il loro stipendio o tramite eventualmente bonus, della positività – o al contrario dei risultati negativi – delle decisioni prese. I finanziamenti, poi, potrebbero essere incrementati in due modi: aumentando le tasse universitarie e offrendo agli studenti dei prestiti, rimborsabili una volta terminati gli studi e ottenuto un lavoro in base al proprio reddito. La stessa proposta è stata recentemente avanzata da uno studio dell’Istituto Einaudi per la Ricerca e la Finanza ed è stata anche oggetto di un’interrogazione parlamentare. Un sistema di prestiti agli studi aumenterebbe per lo studente le possibilità di scelta dell’università, favorendo sia il soggetto in questione, sia l’istruzione italiana in generale, perché un’ampia, libera scelta anche di spostarsi dalla propria abitazione incentiverebbe la concorrenza, e i diversi istituti sarebbero così costretti a un forte impegno per migliorare ed emergere. I prestiti universitari sono già ampiamente diffusi in molti paesi dell’area OCSE, specialmente in quelli anglosassoni, nell’Europa del Nord e in Giappone. Nella proposta dell’Istituto Einaudi si ipotizza un sistema di prestiti per studenti usciti dalle superiori con almeno 70/100, che potrebbero ottenere anche 6000-10000 euro l’anno fino alla fine del corso di laurea, al termine del quale appunto avrebbero accumulato un debito pari alla somma ricevuta più gli interessi (uguali a quelli dei titoli di Stato). Il prestito sarebbe erogato da una banca, nel ruolo di agente di pagamento, ma poi verrebbe rilevato dallo Stato. A un anno dalla fine degli studi, il prestito verrebbe restituito attraverso una detrazione dal reddito dell’ex-studente, se questo supera una soglia minima (che potrebbe essere la medesima del pagamento delle tasse, ossia circa 15000 euro l’anno). C’è chi ha criticato quest’idea, in questo provocherebbe l’indebitamento del giovane meno abbiente, gravando sui suoi primi guadagni: in realtà, la restituzione del prestito sarebbe proporzionale al reddito, e anzi varrebbe come garanzia contro il rischio che l’investimento negli studi non produca frutti.
Le ipotesi e le possibilità sono molte, insomma. Peccato che nella manovra finanziaria non ve ne sia traccia.
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