La censura: dalla chiesa allo stato passando per il “Conciliatore”
Il problema della censura è sempre stato centrale in qualsiasi ambito artistico, da una canzone, ad un’opera d’arte piuttosto che un testo scritto, e più o meno ha sfiorato ogni artista, mediocre o geniale che fosse. Oltretutto, sembra che non esista un periodo storico in cui chi si dilettava in questo campo potesse esprimersi liberamente: per lunghissimo tempo ad esercitare con forza la censura su ogni forma di espressione d’ arte fu sicuramente l’istituzione ecclesiastica, che si preoccupò dagli anni d’inizio del Cristianesimo fino alla fine del 1600 di esercitare un controllo sulle produzioni letterarie, filosofiche e pittorico-scultoree con ogni tipo di mezzo, ricorrendo alla tortura e addirittura all’ omicidio. Ingente fu il numero di personalità che finì sul rogo insieme alle copie dei propri libri, ma anche frequenti risultarono i nudi che furono “rivestiti” perché considerati eccessivamente licenziosi (famoso il caso dell’ affresco “Il giudizio universale” presso la Cappella Sistina di Michelangelo). Questa forma tanto repressiva prendeva come scusa il problema della moralità, del valore etico di un’opera, ma di fatto nascondeva una motivazione molto meno nobile: il mantenimento dell’egemonia clericale sulla popolazione, che non poteva essere messo in discussione. E se dapprima la questione fu sentita soprattutto dalla chiesa, quando essa cadde definitivamente in oblio all’ inizio del XVII secolo, la preoccupazione passò totalmente nelle mani dei vari stati, in particolare quelli che avevano sottomesso molti territori, i quali chiedevano l’indipendenza. E’ in quel preciso momento storico che iniziarono a farsi largo le prime idee di identità nazionale, in una società in cui ormai le materie narrate su tela o per iscritto erano sempre meno attente e legate all’ ambito religioso e quindi maggiormente pericolose; in questo panorama, non poteva che essere l’amministrazione statale a prendere il sopravvento in merito al controllo della produzione artistica, mantenendo ben saldo il proprio potere. Così avvenne nell’ Italia dei primi anni del 1800, divisa e lacerata da popoli stranieri che impedivano l’unità nazionale agognata e sospirata; e per cercare di riscuotere gli animi, venne promossa la diffusione dei fogli settimanali o quotidiani, primo fra tutti il “Conciliatore” milanese. Periodico fondato nel 1818 da Ludovico di Breme e Silvio Pellico a Milano, fu costretto a subire sin da subito la pressione del governo austriaco che sfociò nella censura totale quando questo fu giudicato portatore di ideali fin troppo indipendentistici, nonché di un orientamento liberale e apertamente anti austriaco in materia politica. Non a torto si diffusero i sospetti: andando, infatti, a scorrere il programma di questo “foglio scientifico-letterario”, così come si auto-definiva, è facile capire come possa avere acceso e diffuso il desiderio di cambiamenti e progressi nella società e nella vita civile. Al suo interno si trovano argomenti che ricalcano idee illuministiche di miglioramento della civiltà attraverso la cultura (pensiero che si inserisce perfettamente anche nella nuova coscienza romantica). Un esempio possono essere “ i buoni metodi di agricoltura, le invenzioni di nuove macchine, la divisione del lavoro, l’arte insomma di moltiplicare le ricchezze”, per poi passare alle materie più nobili e intellettuali quali la letteratura e la filosofia. Insomma, esattamente quel bagaglio di informazioni che era richiesto ai destinatari del periodico, la borghesia nascente, che avrebbe dovuto costituire la struttura portante di una nuova nazione, moderna, economicamente e socialmente dinamica, libera dalla sottomissione agli austriaci. Veicolo, quindi, di ideali tipicamente risorgimentali, il Conciliatore venne messo al bando e i propri redattori incarcerati o mandati in esilio. Si concluse, così, la straordinaria stagione di un periodico di eccellenza e insieme a lui morì temporaneamente la speranza di una vita unificata sotto il segno di un unico tricolore.
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