La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità
5 Ottobre 2023 – 17:07 | Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.In un metaverso che vede archiviata… Read more

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Lo olimpiadi di Pechino, tra il sangue tibetano

Scritto da – 23 Agosto 2010 – 18:41Nessun commento

Nel 1959 la Cina occupa militarmente il Tibet già da nove anni. Inizialmente il gigante rosso dimostra una certa tolleranza nei confronti delle tradizioni del luogo. Ma nel ’59 Mao Zedong opta per una politica estremista, imponendo l’ateismo di stato e provocando così la prima grande ribellione dei tibetani. Ma la gazzella non può sconfiggere la tigre: la rivolta viene sedata e il Dalai Lama fugge a Dharamsala, nel nord dell’India. Il passare degli anni non ha placato il risentimento del popolo tibetano nei confronti della Cina; anzi, questo è cresciuto di pari passo con le violenze di Pechino: tra il 1966 e il 1975 i cinesi, nella loro battaglia contro la religione, uccidono un quinto dell’intera popolazione tibetana. Le insurrezioni proseguiranno così come le repressioni operate dalla Repubblica popolare, sino ad arrivare ai nostri giorni. Il 10 marzo 2008 un gruppo di monaci buddisti è sceso in strada per celebrare proprio la rivolta anticinese del 1959. La protesta pacifica si è presto trasformata in una grande insurrezione popolare: ci sono stati numerosi scontri mortali, arresti di massa e gli occhi del mondo intero sono tornati a concentrarsi sulla Cina a diciannove anni di distanza dal massacro di piazza Tienanmen.

Facciamo un passo indietro, per la verità molto piccolo. Pochi giorni prima dell’inizio delle ostilità, il Dipartimento di Stato americano aveva depennato la Cina dalla lista degli stati che compiono le maggiori violazioni dei diritti umani, pur riconoscendo che il paese si contraddistingue per restrizioni alla libertà di stampa, violazione delle libertà religiose e torture dei prigionieri. Una scelta quella degli U.S.A. dietro la quale molti difensori dei diritti umani vedono la volontà del mondo occidentale di non incrinare il rapporto con la Cina in vista dei Giochi olimpici.

Senza dubbio, una scelta che stona clamorosamente con le modalità attraverso le quali Pechino ha reagito alle proteste di Lhasa, capitale tibetana. Oltre che per la ferocia utilizzata per rispondere all’insurrezione, il governo cinese si è contraddistinto per il malriuscito tentativo di sminuire quanto accaduto. Non solo, le autorità hanno immediatamente additato il Dalai Lama e la sua “cricca” come i mandanti delle rivolte. Un’accusa che non è sostenuta da alcuna prova; tantopiu’ che alcuni testimoni avrebbero affermato che a compiere gli atti di violenza siano stati finti monaci inviati da Pechino per giustificare la successiva repressione; per di più la guida spirituale ha subito condannato le azioni violente compiute, in aderenza al principio di non violenza connaturato alla religione buddista: “Il mio principio è completa non violenza, perché la violenza è quasi come un suicidio”.  Davanti a quello che ha definito un “genocidio culturale”, il Dalai Lama si è detto pronto a dimettersi dal suo ruolo di portavoce se la maggioranza dei tibetani dovesse intraprendere la strada della forza. E’ importante sottolineare che il Dalai non rivendica l’indipendenza, bensì riconosce che il sostegno di Pechino è necessario per lo sviluppo della sua terra. Ciò che il leader buddista chiede è una maggiore autonomia e che cessino sia le continue repressioni che le gravissime violazioni dei diritti umani.

Insomma, la posizione del Dalai Lama, che si è detto pronto ad aiutare il presidente cinese Hu Jintao a creare un’armonia sociale, è assolutamente pacifica e aperta al dialogo. La Cina però non vuole sentire ragioni e al popolo tibetano non resta che riporre le proprie speranze nel fattore Olimpiadi. I Giochi costituirono un’occasione straordinaria per i tibetani, che grazie a questi poterono attirare l’attenzione di tutto il mondo sulla loro situazione. Davanti al sangue di Lhasa nessun paese ha battuto i pugni minacciando di non partecipare alla competizione. Il presidente dell’Europarlamento Hans Gert Poettering, escludendo la possibilità di un clamoroso boicottaggio, ipotizzo’ timidamente che sarebbe potuto essere un gesto significativo non partecipare alla cerimonia d’inaugurazione. Il cancelliere tedesco Angela Merkel e l’allora premier britannico Gordon Brown, dissertarono la cerimonia, così come il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon; nessuno dei tre dichiaro’ esplicitamente che l’assenza fu dovuta al comportamento cinese. L’ipotesi è stata considerata anche dal presidente francese Nicolas Sarkozy, che minacciò di disertare la cerimonia se la Cina non si fosse impegnata a dialogare con il Dalai Lama.

Insomma qualcosa, poco, comincia a muoversi. Il timore di inimicarsi una potenza economica come la Cina fa però tirare il freno a mano ai governi interessati ai favori di Pechino.

Da casa nostra finora non è arrivata nessuna presa di posizione decisa, ma ciò non stupisce, considerando che nel dicembre 2007, né D’Alema né Prodi ( e precedentemente anche il papa) e nemmeno Camera e Senato vollero ricevere ufficialmente il Dalai Lama che era in visita in Italia.

Dalai Lama che ha bocciato l’ipotesi del boicottaggio: “il popolo cinese non se lo merita”.

Oltre che irrealizzabile, il fallito boicottaggio dei Giochi non è detto sarebbe potuto servire a migliorare la situazione. Va sottolineato che si parla tanto, e giustamente, della questione-Olimpiade, ma si tralascia un altro aspetto importante, quello economico. Infatti, se da un lato da tutto il mondo arrivano proteste contro un paese disumano che non si merita i Giochi, dall’altro, quando si tratta di business, la Cina diventa umanissima, con un’infinità di contratti firmati, sponsor e investimenti.

Perché non far notare più spesso questa palese ma sottaciuta contraddizione? 

In ogni dopo i fari accesi delle olimpiadi l’attenzione sul Tibet è ovviamente calata,pur la situzioe rimanendo pressoché immutata, come accaduto con la Birmania, abbandonata a se stessa dalla stampa e rimossa dalle nostre teste dopo l’iniziale indignazione

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