La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità
5 Ottobre 2023 – 17:07 | Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.In un metaverso che vede archiviata… Read more

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La Buona Scuola. Un reale passo verso qualcosa?

Scritto da – 27 Novembre 2014 – 19:54Nessun commento

Palazzo Chigi - Il ministro Giannini illustra le linee guida sulla scuolaPoco più di una settimana fa si è conclusa l’iniziativa promossa dal governo “La Buona Scuola”. Progetto ideato dalla ministra Giannini, che ha riunito un gruppo di esperti giuristi al fine di redarre un testo che descriva la scuola italiana e proponga delle novità atte a modernizzarla, cambiarla e migliorarla. In un video presente sul sito Passodopopasso, il sito dedicato alle iniziative di Renzi che si svolgeranno nell’arco di tempo di mille giorni e finalizzate a rendere l’Italia “più bella” (cit), il presidente spiega meglio agli italiani il suo “patto”, cioè che cosa esattamente rappresenta La Buona Scuola: “Vi propongo una cosa diversa. Abbiamo un anno di tempo per rivoluzionare la scuola italiana. Ma soprattutto per darle importanza perché i politici quando parlano di scuola la mettono in fondo al sacco, come una delle ultime ruote del carro. Una delle ultime ruote del carro. Prima c’è da sistemare la pubblica amministrazione, riorganizzare i bilanci dello stato, i vincoli economici. Se noi saremo in grado nei prossimi dodici mesi di rivoluzionare come l’Italia investe sulla scuola allora costruiremo la crescita dei prossimi vent’anni”. Niente di più giusto, l’istruzione merita un posto di rilievo nel pensiero del popolo e del governo italiano, e l’iniziativa si presentava davvero come qualcosa di nuovo, prefiggeva degli ottimi obiettivi e aveva l’importante qualità di dare davvero voce al popolo, come il termine “democrazia” impone. Il punto è che ancora una volta, come spesso accade all’interno della nostra cara penisola, qualcosa è andato storto.

In primis, la partecipazione. I numeri parlano chiaro: 1 milione di accessi, 170 mila partecipazioni, 100 mila questionari compilati, 1600 dibattiti, 3500 proposte, 16000 commenti e 90000 voti. Su un totale di 60 milioni di persone, a cui togliamo per eccesso una decina di milioni di persone che non potrebbero interessarsi alla questione per ovvi motivi legati all’età anagrafica (troppo piccoli, troppo vecchi). A decidere è stato dunque un cinquantesimo della popolazione. Un cinquantesimo significa che su 50 persone che prendiamo random, a solo una interessa davvero dire la propria all’interno della democrazia. Ma che dico “dire la propria”, a “dire la propria”, sono state 100 mila persone, a proporre qualcosa 3500 e a votare 90000. I dati sono deprimenti. La democrazia è decantata da chiunque, eppure è solo a una piccolissima parte di questo chiunque che interessa praticare i propri diritti democratici. Dicasi disaffezione al voto, disaffezione alla cosa pubblica, disaffezione all’opinione, aggiungerei.

A proposito della partecipazione inoltre occorre fare un breve excursus sui dati geografici che la riguardano. In cima alla lista delle regioni che hanno partecipato attivamente, tramite discussioni, al progetto la regione Emilia Romagna, con 281 dibattiti. A seguire, sul podio, Puglia con 252 e Toscana, con 247. Sicilia quarto posto (216) e solo al quinto la regione Lombardia, con solo 159 dibattiti, che dovrebbe essere la regione più importante scolasticamente parlando. Subito dopo la Lombardia, Abruzzo, Lazio, Calabria, Campania, Piemonte, Marche, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Umbria, Basilicata, Liguria e infine, Molise, Trentino, Sardegna e Valle d’Aosta, con 1 dibattito in totale.

Tra i motivi ai quali si deve la scarsa partecipazione molto probabilmente vi è la lunghezza del testo che è stato proposto dal ministero: 136 pagine. 136 pagine, per quanto scritte con un lessico semplice, e allegre e colorate non sono poco. Non tutti hanno il tempo di mettersi lì a leggerle con attenzione, soprattutto se tra un impegno e l’altro, attraverso il piccolo schermo di uno smartphone. Ma comunque c’è da dire che circolavano i riassunti di tale progetto, perciò, anche barando, ci si poteva attivare.

Aldilà della lunghezza, inoltre, vi è un problema di contenuti. Talvolta poco chiari, molto spesso troppo generici, modaioli, e con inglesismi davvero non necessari. A riguardo degli insegnanti, si dice che questi devono essere più preparati alle problematiche dovute alla modernità, quindi per esempio la multiculturalità (vedi “immigrazione”) o il mondo digitale, che per molti – per quanto suoni incredibile – rappresenta ancora un territorio del tutto sconosciuto. E allora ecco qui che appaiono termini quali problem solving e decision making, tra gli insegnamenti che devono trasmettere i docenti del 2015. A ben pensarci sono capacità davvero importanti nella vita – non a caso sono onnipresenti negli annunci di lavoro di qualunque azienda, nessuno cerca una persona che non sappia risolvere problemi e operare decisioni – ma è ovvio che chi insegna cerca anche di passare altro sapere oltre ai versi delle poesie di Leopardi o all’equazione per cui 2x è uguale a y.

Oltre a queste nuove-vecchie competenze che gli insegnanti devono avere poi ci sono le novità del pedagogista in ogni scuola e del body building, dell’ora di educazione psico-fisica, che a quanto pare è assolutamente necessaria a formare gli italiani del domani. Altre chiacchiere a proposito dell’importanza del mondo digitale, che, senza un velo d’ironia, davvero è importante, ma con che fondi? Le scuole cadono a pezzi e pensiamo di inserire sempre più digital divices quando non c’è nessuno a farli funzionare, e ci colleghiamo dunque alle proposte del popolo italiano, che con 246 like, fa notare che la digitalizzazione funziona solo se c’è un personale che la faccia funzionare.

In cima alle proposte vi è, con 479 like, la definizione del numero adeguato di studenti per classe (20), seguito dall’importanza dell’impegno dello studente, che non deve essere valutato con un freddo voto che produca un’insensibile somma algebrica (471 like) e l’importanza della formazione dei docenti, che devono essere spontanei, freschi, comprensivi e preparati (390 like). Dunque ecco qui l’ultima problematica del progetto, le proposte stesse. A parte la prima, che è davvero rilevante (anche se poi bisogna vedere i costi che hanno le singole classi con un numero minore di alunni, che la scuola italiana non può affrontare in questo momento), le seguenti sono tutte bellissime idee, ma a che pro? E soprattutto, è questo che ci preoccupa? Non valutare in maniera troppo fredda uno studente? Nessuno l’ha mai fatto. Il collegio docenti tiene sempre conto della situazione privata di uno studente quando questi dimostra di avere una serie di mancanze a scuola. Quest’ossessione nei confronti degli insegnanti è ciò che spaventa: ci sono sicuramente insegnanti che non sanno fare il proprio mestiere, ma per ogni insegnante che manca di dimestichezza ce ne sono altri venti validi.

E a proposito del corpo docenti, un’ultima riflessione con cui concludere. Lo scatto stipendiale degli insegnanti, e il metodo attraverso il quale essi saranno giudicati più o meno meritevoli di tale scatto, che non appare assolutamente chiaro. Secondo quali parametri avverrà la valutazione? E inoltre, perché escludere completamente l’anzianità come criterio di cui tenere conto? Spiace dirlo, ma forse siamo semplicemente incappati nell’ennesima promettente ma nebulosa e fin troppo ottimista iniziativa italiana.

Cecilia Lorusso


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