La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità
5 Ottobre 2023 – 17:07 | Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.In un metaverso che vede archiviata… Read more

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Fra consumismo e ricerca, la Pop Art

Scritto da – 24 Agosto 2010 – 12:19Nessun commento

E’ uno dei movimenti artistici più noti e riconoscibili, con le sue icone da cartellone pubblicitario e un linguaggio immediato, comprensibile a tutti, che parla dei miti della società dei mass-media. Sotto la patina di arte “facile” (Pop è l’abbreviazione di “popular”), registra la perdita di riferimenti dell’ uomo contemporaneo attraverso un uso “neutro” di immagini banali, legati alla vita quotidiana, che tutti abbiamo sotto gli occhi e proprio per questo smettiamo di “vedere”. L’arte americana dà un  determinante contributo alla ricerca artistica del decennio successivo, definendo una nuova estetica. Pur giungendo alla ribalta grazie agli artisti della Scuola di New York (Wahrol, Lichtenstein, Rosenquist, Wesselman), la pop-art nasce negli anno ’50 in Gran Bretagna, dove i meno noti Richard Hamilton, Allen Jones e Peter Blake iniziano a dipingere con colori industriali immagini e fumetti. Sono forse troppo sofisticati e formali per suscitare il clamore che l’essenza stessa della pop-art richiedeva. Nel decennio successivo, negli USA gli artisti pop diventeranno personaggi alla moda, quanto i divi che riproducono sulle tele. Incontrano il grande pubblico europeo alla Biennale di Venezia del ’64; fra tutti, emerge la personalità di Andy Warhol (1930-87), il più radicale ed eccentrico, che intuisce il futuro dell’arte contemporanea nel sempre più stretto legame col mercato e con l’immagine.

Ritrae fumetti e testate di giornali, passando dalla pittura alla riproduzione fotografica attraverso la serigrafia su tela. Chi non conosce le sue lattine Campell’s e Coca-Cola, le sue Marilyn e Jackie Kennedy? Nella ripetitività delle immagini esprime l’assenza di significato causato dalla sovraesposizione, dal bombardamento di informazioni da parte dei mass-media. Ritraendo personaggi del mondo dello spettacolo o banali oggetti di consumo, prende distanza dagli individualismi e delle interiorizzazioni che hanno caratterizzato tanta arte nei decenni precedenti.

Semplicemente, Wahrol riproduce ciò che vede e ciò che è oggetto di devozione collettiva, aggiungendo un pizzico di ironia.

Celebre è la sua affermazione: “Come si può dire che uno stile è migliore di un altro? Questo o quello stile, questa o quella immagine, non fa nessuna differenza” Personalità innovatrice e poliedrica, nel ’63 crea la famosa Factory, che produce film underground girati con camera fissa su attori che compiono gesti ripetitivi e spesso scabrosi. Proprio l’aspetto scandalistico (amori omosessuali, amicizie e sodalizi con star holliwoodiane, presenzialismo a feste ed eventi) gli ha fruttato una celebrità che difficilmente gli artisti concettuali o informali avrebbero potuto raggiungere. Altro esponente di punta della Scuola di New York è Roy Lichtenstein, forse il più raffinato, che si specializza nel fumetto, non disdegnando il kitsch e il linguaggio infantile.

Inventa il “falso retino tipografico”, una tecnica sofisticata che ottiene applicando il colore attraverso griglie traforate, dando l’impressione di un ingrandimento fotografico. Sembra suggerire che la realtà contemporanea risieda più nelle immagini stampate che nella vita reale.

James Rosenquist e Tom Wesselman hanno forti punti di contatto con il mondo della pubblicità, il primo attraverso grandi pitture in stile cartellonistico, il secondo con collage di immagini di prodotti commerciali.

Infine, Claes Oldenburg è il più sensibile all’influenza europea, soprattutto surrealista, dipingendo oggetti quotidiani ingranditi in versione “molle”, alla Dalì.

In Italia non esiste un corrispettivo della pop-art statunitense, ma si registra una maggiore attenzione alle immagini e alle scritte del contesto urbano o dell’informazione di massa, che negli anni ’60 inizia ad assumere i connotati invasivi che tutti conosciamo. Si avvicinano alle tematiche pop Mimmo Rotella e Mario Schifano, anche se il loro percorso artistico non si può ridurre a questa fase. Rotella firma decollages, frammenti di scritte pubblicitarie o di manifesti cinematografici, raggiungendo una vasta popolarità. Schifano, figura più complessa, si dà a una pittura monocroma che ritrae segnali stradali, con stesure piatte di colore e uso di smalti industriali.

Anche Franco Angeli ha qualche punto di contatto con la cultura pop, disegnando silhouettes a campiture piatte, ma le sue tematiche (aquile americane sulle banconote e insegne naziste) sono lontane dalla neutralità ideologica della pop-art americana.

Simona Lomolino


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