La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità
5 Ottobre 2023 – 17:07 | Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.In un metaverso che vede archiviata… Read more

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Indipendenza scozzese: panoramica storica

Scritto da – 22 Settembre 2014 – 18:17Nessun commento

Il referendum sull’indipendenza della Scozia dal Regno Unito, tenutosi il 18 settembre 2014, ha visto prevalere gli unionisti sui nazionalisti scozzesi, anche se la vittoria dei primi è stata di misura; gli indipendentisti hanno infatti raggiunto il 45 % dei consensi e hanno ispirato molti movimenti indipendentisti in Europa. La Scozia nell’antichità era abitata dai Celti, a differenza della Britannia meridionale – la futura Inghilterra – che era parte dell’Impero Romano; nel Medioevo Scozia e Inghilterra si affrontarono in numerose guerre, che si conclusero soltanto alla fine del Cinquecento. Nel 1603, quando la regina inglese Elisabetta I morì senza eredi, il re scozzese Giacomo I Stuart ne ereditò il regno e per un secolo Scozia e Inghilterra formarono un’unione dinastica; nel 1707 infine fu approvato l’Act of Union, che stabilì la fondazione del Regno Unito di Gran Bretagna, con l’unione della Scozia e dell’Inghilterra. L’Act of Union, all’epoca fortemente osteggiato dalla popolazione scozzese perché contraria all’unione, sancì l’abolizione del Parlamento della Scozia – i parlamentari scozzesi ottennero però un numero di seggi fisso nel Parlamento di Westminster – ma garantì allo stesso tempo una larga autonomia alla Scozia, che mantenne il proprio sistema giudiziario, le proprie strutture educative, continuò ad utilizzare la lingua scozzese e conservò la chiesa presbiteriana, il cui culto era osservato dalla maggioranza degli scozzesi.

Nel 1997 la legge detta “devolution” ha attribuito una larga autonomia alle nazioni costitutive del Regno Unito, cioè Scozia, Galles e Irlanda del Nord; il Parlamento di Londra ha mantenuto il controllo sulla politica fiscale, la difesa e le relazioni internazionali, ma ha concesso al Parlamento di Edimburgo, istituito nel 1999, il potere legislativo nella politica interna della Scozia.

Il referendum sull’indipendenza della Scozia era stato voluto dal Partito Nazionalista Scozzese, al potere dal 2011, ed era stato concordato con il governo inglese nell’ottobre del 2012; la data del referendum, il settembre 2014, era stata scelta dai nazionalisti in quanto cadeva il settimo centenario della battaglia di Bannockburn (1314) in cui gli scozzesi, dopo aver sconfitto gli inglesi, ottennero l’indipendenza. Contrari all’uscita dal Regno Unito erano i partiti tradizionali, il Partito Conservatore e il Partito Laburista, che vedevano nell’adesione alla Gran Bretagna il mantenimento di un ruolo di primaria importanza nell’Onu e nel G7, oltre che nella Nato, perché la principale base nucleare britannica è a Faslane.

Il referendum è stato indetto, più che per cause storiche, per motivazioni economiche, legate soprattutto alla gestione dei proventi del petrolio estratto nel Mare del Nord, che secondo gli indipendentisti consentirebbero di migliorare le condizioni dello stato sociale scozzese, attualmente già superiore rispetto al welfare dell’Inghilterra; l’economia scozzese, fortemente provata dalla deindustrializzazione attuata negli anni ’80 da Margaret Thatcher, è oggi legata prevalentemente all’esportazione del whisky e ai fondi economici distribuiti dal governo inglese, stimati in 30 miliardi di sterline.

Se la Scozia fosse diventata indipendente avrebbe dovuto affrontare subito il problema del debito pubblico, attualmente gestito da Londra; i nazionalisti scozzesi avrebbero voluto mantenere come valuta nazionale la sterlina inglese, una mossa che avrebbe consentito loro di non dover sostenere tutto il peso del debito pubblico scozzese, ma il governo di Londra si era dichiarato contrario e così le banche scozzesi, timorose di una possibile fuga di capitali in caso di vittoria degli indipendentisti, avevano già predisposto un piano per spostare le loro sedi a Londra.

I nazionalisti avevano sostenuto anche di voler entrare nel Commonwealth (associazione delle ex colonie britanniche) e di mantenere come Capo di Stato il monarca inglese, un po’ come avviene per paesi come l’Australia o il Canada, anche se l’ipotesi di istituire una forma di stato repubblicana non era mai stata abbandonata del tutto.

L’esito negativo del referendum è stato accolto favorevolmente nell’Unione Europea, dove numerosi movimenti indipendentisti – dai Catalani nella penisola iberica ai Fiamminghi del Belgio – hanno tratto ispirazione dalla vicenda scozzese per giustificare le loro posizioni di fronte ai rispettivi governi nazionali, ma anche in questi casi l’indipendenza, più che per motivazioni storico – culturali, serve a coprire interessi economici molto forti. L’economia attuale, improntata alla globalizzazione, non permetterebbe però a questi “micro – stati” di competere con giganti economici come i paesi in via di sviluppo e ne causerebbe un progressivo impoverimento.

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