Bruno Martino, breviario del jazz confidenziale
Il Re dei night club. Con questo appellativo abbiamo sentito circolare il nome di Bruno Martino lungo i decenni; oppure come l’autore di Estate, il più celebre brano jazz made in Italy. Ma questa è solo un’introduzione, a una storia unica e silenziosa, che ha i suoi germi proprio in quell’Italia dell’anteguerra in cui il sound americano, i suoi balli e i suoi ritmi, erano stati messi al bando dall’autarchia di regime. Martino, classe 1922, cresce proprio nell’ambiente dei primi caffè concerto romani, fuggendo a una carriera di funzionario ministeriale per entrare nell’Orchestra 0/13, ensemble capitolino di ragtime e jazz, ancora con i calzoni corti e la madre ad attenderlo ogni notte a bordo del palco. Finita la guerra, nel paese scatta la voglia di riscatto unità alla necessità dello svago, del trascorrere il poco tempo libero in compagnia di buone vibrazioni e balli viscosi: ma tutto deve avvenire entro i recinti di luoghi misteriosi, chiamati night club. Locali fumosi e riservati dove rigorosamente si esige musica live e suonata a buoni livelli, dove la clientela si misura tra coppe di champagne e cedrate con gazosa, dimenando i fianchi fino all’alba del mattino dopo. Ecco l’habitat perfetto di Martino, pianista innamorato di quella bestia imprevedibile che è il jazz, un amore non ancora ricambiato dal pubblico italiano, che preferisce la regolarità dello swing o la passionalità sicura del tango a un genere musicale che ancora intimorisce, di difficile definizione. In più non manca la concorrenza, e in quegli anni è delle più spietate, con un vulcanico Renato Carosone che sembra inarrestabile nella sua popolarità. Per questo il giovane talento sceglierà di formare una propria band, l’Orchestra Martino, e con questa sorvolare i confini e le dogane, tentando la fortuna in Europa.
Proprio questa sarà la chiave della sorprendente crescita tecnica della band, la quale troverà riconoscimento nei jazz club francesi e inglesi e spopolerà nell’intero nord Europa, divenendo in pochi anni l’attrazione numero uno dei migliori locali della Scandinavia, e Martino vera star del leggendario Nimb di Copenaghen. Qui verranno affinate le caratteristiche inconfondibili, cioè la versatilità stilistica, un affiatamento accurato con gli altri elementi dell’orchestra, buon gusto, modernità, e un inossidabile senso dell’umorismo. Prendono forma le prime hit, come “Kiss Me, Kiss Me” o “Nel Duemila”, e una volta tornato in patria, il piano-man diventa in poco tempo l’artista del momento: l’occasione servirà per far emergere una personalità complessa, di artista che non teme di misurarsi con le hit parade né con il pubblico selezionato di specialisti di settore, con uno stile da croonereclettico, che presto verrà definito confidenziale.
Una sapienza compositiva d’eccezione lo porta su timbri audaci (sviluppando la modulazione vocale di Nat King Cole) e generi non ancora assimilati in Italia (vedi l’innovativo blues di “Sono stanco”), innestati su brani di garbato rigore pop, e quindi comprensibili e apprezzabili da tutti. Questo il segreto di uno stile che diventerà genere, facendo adepti da Fred Bongusto a Peppino di Capri, fino a Franco Califano (che in seguito affiancherà proprio Martino nella stesura dei testi) e che avrà i suoi modelli in brani come“Cos’hai trovato in lui”, “Forse”, “Fai male”, jazz meticcio su cui si impastano tematiche nuove per il popolo delle balere come per quello della spiaggia, e cioè l’intensità struggente dell’amore conflittuale. In contrasto con “l’edonismo obbligato” degli anni del boom, viene insinuato un nuovo modo di descrivere le atmosfere e i sentimenti del cuore, che un amico fraterno di Martino, il mitico Sandro Ciotti, definirà «pittato». Bruno Martino troverà la sua scenografia ideale proprio nella stagione che comincia a simboleggiare la gioia della spensieratezza, dei costumi leggeri, e della democraticità di amori facili: l’estate. Ad essa intonerà più odi, a quella saudade che trattiene gli animi più sensibili dal goderne l’effimera festa, per riparare le ferite in un solitario dialogo con il mare e la notte, sperando che arrivi presto l’inverno, e così la rivincita di un nuovo amore. A questo penserà anche João Gilberto, quando s’innamorerà della canzone più emblematica di Bruno Martino, Estate, brano di sopraffina e amara bellezza, trasformandola in un successo planetario. Da quella riscoperta nasce il mito, e anno dopo anno più di quattrocento artisti internazionali, da Chet Baker a Michel Petrucciani, fino ai nostri Capossela, Mina, Mia Martini e La Crus, hanno interpretato commossi e orgogliosi quello che è considerato uno dei più notevoli standard del jazz mondiale. Manifesto di un artista che è sempre restato un uomo senza mai divenire personaggio, ma che ha saputo incantare e travalicare le epoche e le mode come una colonna sonora nottambula, ironica ed irresistibilmente elegante.
[…] Il Re dei night club. Con questo appellativo abbiamo sentito circolare il nome di Bruno Martino lungo i decenni; oppure come l’autore di Estate, il più celebre brano jazz made in Italy. Ma questa è solo un’introduzione, a una storia unica e silenziosa, che ha i suoi germi proprio in quell’Italia dell’anteguerra in cui il sound americano, i suoi balli e i suoi ritmi, erano stati messi al bando dall’autarchia di regime. Martino, classe 1922, cresce proprio nell’ambiente dei primi caffè concerto romani, fuggendo a una carriera. […] Leggi l'articolo completo su Orizzonte Universitario […]